Sono particolarmente contenta di parlare ai genitori di bambini nella fascia d’età dei vostri figli, perché sappiamo che quello che stanno vivendo è per loro un tempo fondamentale della vita.

Siamo in pre-pubertà. La psicoanalisi ci insegna che si sta uscendo dal periodo di latenza, si sta venendo fuori dal tempo delle “Belle addormentate “per fare con la vita qualcosa di nuovo, per misurarsi con le cose di tutti i giorni, in un modo nuovo.
La pubertà, l’adolescenza è il tempo della creazione, della separazione, della trasgressione ;noi stiamo parlando di un attimo prima, un istante prima che i ragazzi si sveglino.
È un momento fondamentale, importantissimo, in cui i genitori hanno un gran da fare per “apparecchiare al meglio la tavola”, scegliere la colazione più nutriente per quando i ragazzi si alzeranno per cominciare questo nuovo tempo della vita.
Solitamente, non prendetela come una regola, ma quasi sempre se si rivolgono da noi in Dedalus (Centro di Psicoanalisi applicata ai nuovi sintomi in adolescenza) genitori preoccupati, con figli in questa fascia di età, solitamente, dicevo, preferiamo non incontrare i bimbi e continuare il lavoro con i genitori. Perché vi dico questo, non certo per entrare in polemica con la psicologia dell’infanzia che invece stimo e appoggio, ma per spiegarvi quanto tocchi ancora a voi in questo tempo della vita dei vostri bimbi darvi da fare, lavorare, affiancarli…non lasciarli soli.
Proprio in questi giorni ascoltavo una mia paziente che, prima di diventare una paziente, quindi di implicarsi come soggetto nel discorso analitico, si è rivolta a Dedalus per i problemi con la figlia, che frequenta la terza elementare.
La signora mi riportava questa questione: a scuola gli insegnanti le hanno detto che la figlia deve fare i compiti da sola, per diventare autonoma perché poi (aggiungo io fra tre anni!) andrà alle medie.
E’ una questione che la preoccupa perché la bambina soffre molto di questa situazione. Mentre esegue i compiti da sola, la richiama continuamente per farsi aiutare, si distrae, non è in grado di finire gli esercizi.
La mamma ha deciso di sbrigare le faccende domestiche mentre lei studia: finge di non poter stare con la bambina, perché dice che “deve stirare”.
Questa mamma è molto preoccupata, ascolta le maestre che le dicono di “autonom
izzarla” e così la sgrida, urla, si spazientisce…
Mi racconta tutto questo e nella concitazione del discorso che la preoccupa, mi dice: - Se fosse per me, starei lì con lei. Mi piace aiutarla a studiare.
Eccoci qua, grazie a questa mamma, siamo catapultati nel nocciolo del discorso.
In questo racconto, in questa scena quotidiana che ognuno può facilmente immaginare, c’è tutto lo svolgimento del tema “perché studiare è fatica”, anzi possiamo precisare: perché studiare è fatica in pre - adolescenza.
A cosa sono interessati i vostri bimbi in questo periodo? Nel periodo che precede la scuola media?
Dicevo prima che da un lato sono addormentati. Da che lato? Da quello della pulsione. E se non è così, se si fossero per caso, per sbaglio, svegliati? Addormentateli ancora. Non è il momento che stiano svegli, non hanno dormito abbastanza, sarebbero incapaci di affrontarla la pulsione.
Voglio fare un passo indietro, perché ci tengo che capiate bene quello che voglio dire, capiate bene quant’è importante questo tempo di “sonno”, che non vi deve preoccupare, non vi deve assolutamente preoccupare, anzi! Dovete fare più piano, fare un po’ di silenzio perché dormano ancora. Non ha senso dire “ non è autonomo” ,“è troppo ingenuo” ,“è troppo bambino”. Dev’essere così, è il suo tempo per esserlo. E i tempi vanno rispettati.
Dicevo che volevo fare un passo indietro.
La mia formazione è quella psicoanalitica, sono una psicoanalista lacaniana.
Cosa ci insegna Lacan, cosa ci spiega Freud?
Il bimbo nasce. Nasce invaso dalla pulsione, è solo pulsione. Fondamentalmente vuole godere. Daltronde è quello che ha fatto tutto il tempo di permanenza nella pancia della mamma. Godeva come un matto, era al caldo, al sicuro, con tutto quello che gli serviva a portata di mano.
Il bimbo nasce, vuole continuare a godere, ma scopre che le cose non sono sempre disponibili nell’ esatto momento in cui le vuole. Proprio questa è la difficoltà dello svezzamento. Ponete particolare attenzione a questo punto: lo svezzamento è un modo per limitare il godimento del bambino, per inserire regole, fiducia, attesa, alternanza tra tutto e niente.
Così, non entro troppo nello specifico, le cose continuano, più o meno, in questo modo fino ai cinque anni.
Pensate che nel frattempo, infatti, li avete svezzati, regolato gli sfinteri, messi a tavola, scolarizzati, spiegato le differenze sessuali, insegnato a dire grazie, a salutare quando si entra in un luogo … pensate quanto limite al godimento avete introdotto, con quanta fatica avete regolato la loro pulsione.
Verso i cinque anni il bambino smette di giocare la sua partita con la pulsione, almeno per ora, si addormenta in qualche modo, apre il suo comò e ci ripone dentro tutte le cose che ha imparato in questi cinque anni, chiude bene i cassetti e lascia perdere.
I maschi e le femmine si dividono nel gioco per i diversi interessi e la partita più importante che iniziano a giocare ora è quella con il posto che occupano nel mondo:
“Come mi vuoi? Mamma, papà come mi volete? Che cosa volete da me? Vi basto? Vado bene?”
Insomma la questione che emerge in questo momento è quella dei conti con il vostro desiderio.
Il vostro desiderio su un duplice lato: quello che lo riguarda e quello che lo trascende. Da un lato si domanda cosa volete da lui; se è stato adottato; se è figlio vostro; a chi assomiglia; qual è la storia della sua famiglia; che posto ha lui per voi.
Dall’ altro lato vuole sapere come fate a vivere senza di lui; che cosa v’interessa nella vita quando lui non c’è; che cosa vi fa alzare tutti i giorni dal letto. Per dirla con Lacan: che cosa vi fa amare e lavorare senza impazzire, senza avere voglia di ammazzarvi.
Capite allora che tempo importante è questo, quanta carne è al fuoco!
La pulsione è bene che dorma, che sonnecchi finché il bimbo non ha capito qualcosa di tutto questo, non sa esattamente come orientarsi nel grande mare del desiderio dell’ Altro.
Ecco che, se prima il vostro bambino voleva godere, ora invece il vostro bambino vuole sapere! E’ il tempo in cui, come mai più accadrà nella vita, è interessato al sapere dell’ Altro.
Un sapere che lo riguarda però, che non lo esclude, che lo implica, che parla di lui, del suo posto nel mondo.
Gli interessa ciò che lo riguarda, il resto è inutile perdita di tempo. Che siano esistiti degli uomini prima di lui, che ci siano dei numeri che combinati tra loro danno un certo risultato … poco gli importa.
Se ascoltate i bambini di questa fascia di età, ad esempio, dicono delle cose sorprendenti sulla storia. Sono interessati fino al tempo dei loro nonni, perché con i nonni hanno un rapporto d’affetto. Prima dei nonni non c’è niente, la storia non esiste.
Ecco tutto lo sforzo enorme degli insegnanti di calare le materie nella realtà vicina ai nostri bambini, devono riuscire a far capire loro che, anche le cose che sembrano più lontane, in realtà li riguardano.
E’ un’accortezza didattica degli ultimi decenni, che non è stata ideata per andare incontro a bambini svogliati, a una generazione d’incapaci, ma per aiutarli ad apprendere meglio, soprattutto per farli interessare al Sapere, allo studio, al comprendere.
La trovo un’attenzione straordinaria a questo periodo che stanno attraversando i vostri figli.
Non si sono rammolliti gli insegnanti, non si sono arresi a un gruppo di giovani inferiori alle generazioni precedenti.
Certi nostalgici amano vederla così…ai miei tempi s’imparava tutto a memoria. Questa frase l’avrete sentita ripetere sicuramente da qualcuno dei nonni. Certo! Imparare a memoria, era un modo per aggirare il problema della difficoltà col Sapere. Il Sapere non è sapere tutti i nomi degli affluenti del Po, il Sapere è appassionarsi all’ idea che il Po esiste e nel Po e col Po succedono delle cose che non sappiamo.
Diciamola con Lacan, è importante che lo aiutiate a cominciare ad andare di là dal desiderio dell’ Altro. Che lo accompagniate oltre, che non lo lasciate impigliato nel suo egocentrismo. E’ necessario che impari ad appassionarsi a ciò che esiste senza di lui.
Questo è il vostro grande sforzo di questo periodo. E non è uno sforzo da poco.
Prima d’ora avete dovuto svezzarlo rispetto alla pulsione; ora dovete farlo rispetto al sapere.
Le cose si complicano un po’ però, perché se prima l’operazione che dovevate fare era sul bambino, ora è su di voi.
Riprendiamo la questione che mi portava la mia paziente e di cui vi dicevo all’ inizio, un problema che molti di voi devono sicuramente affrontare: l’autonomia dei propri figli.
A un certo punto le maestre o il vostro Super-Io, la vostra coscienza, vi dirà che devono imparare a fare i compiti da soli.
Annosa questione: l’autonomia. Il discorso educativo vi dice di fare le stesse cose che avete fatto per regolare la pulsione. Dire di no, mettere delle regole chiare, dare dei tempi, fare rispettare la vostra parola … quindi: metteteli alla loro scrivania, non in cucina, insegnategli a leggere il diario da soli, dite che entro la tal ora devono aver finito ecc… Sforzatevi. Dovete regolarli. Dovete svezzarli col solito metodo.
La psicoanalisi dice qualcosa di diverso. Se la pulsione per regolarsi deve incontrare il limite, la legge, la passione per svilupparsi deve incontrare il desiderio dell’ Altro, ma incontrarlo autenticamente!
L’ Altro, l’avete già inteso, siete voi, sono i genitori, gli insegnanti, tutti coloro ai quali il bambino attribuisce un Sapere che lo riguarda.
Che cos’è dunque questo desiderio dell’ Altro? E’ il vostro intimo, particolare, unico desiderio.
Da un lato sicuramente, visto che siete genitori, ci sarà qualcosa del vostro bambino che lo fa appartenere al vostro desiderio. Si nasce sempre preceduti dal desiderio dell’ Altro.
Raccontateglielo! Lo dico sempre ai genitori: raccontate ai bimbi la loro storia, come sono nati, come li avete desiderati, cos’è successo quando li avete portati a casa, cos’hanno detto i fratelli, i nonni. Fatevi interrogare su questo, perdeteci del tempo. I bambini solitamente chiedono queste storie molte volte, vi faranno sempre le stesse domande. Accoglieteli. Perché loro vogliono ascoltare ciò che dite, ma soprattutto ciò che non dite, per capire che posto hanno nel vostro cuore, nella vostra famiglia e di conseguenza nel mondo.
Sanno che devono costruirsi il loro fantasma: le lenti con cui guardare il mondo, e possono farlo solo partendo dalla loro storia, anzi dalla loro storia raccontata dalle vostre parole. Nel racconto preleveranno qualcosa che li interessa e s’infileranno lì, ne faranno il loro posto per avere delle altre relazioni.
La costruzione della propria storia ad esempio, permettetemi una breve digressione, è qualcosa che i bambini psicotici non sono assolutamente in grado di fare.
Storicizzare la propria vita è un affare complicato, quando incontriamo un ragazzo piuttosto grave, una delle prime cose che facciamo è prendere un quaderno e farci dettare la sua storia. I soggetti in difficoltà fanno molta fatica a farlo, raccontano storie prive di particolari, con difficoltà temporali, ridotte a poche frasi.
Questo perché? Perché non sono in grado di avere un buon rapporto con il Sapere dell’ Altro.
Come ci insegna Lacan, il Sapere è sempre dell’ Altro. Lacan trascorre un intero anno accademico a spiegare questo concetto (lo trovate nel seminario XVII) e sarebbe fuori luogo addentrarci ora in quest’argomento, ma credo che qualcosa lo possiate afferrare ugualmente dal discorso che stiamo facendo.
Il Sapere è dell’ Altro, perché l’ Altro ci precede, era già lì quando noi siamo nati e quindi siamo convinti che sappia delle cose che non sappiamo, ma non delle cose qualunque, delle cose che ci riguardano.
È proprio durante il tempo di latenza che i vostri figli fanno i conti con questo. Fanno i conti sul posto che vogliono occupare rispetto al Sapere dell’ Altro: interessa loro, vogliono interrogarlo, vogliono esserne schiavi, vogliono trascurarlo, non si sentono all’ altezza, vogliono mostrarne i buchi, le mancanze, vogliono superarlo?
Capite che la faccenda è proprio seria, che anche tutti i sintomi scolastici, sull’ apprendimento, derivano da questo posto che i bimbi vanno a occupare.
Le patologie più gravi che scaturiscono derivano proprio dall’idea che ha il bambino di cosa ci fa l’Altro di tutto quel Sapere: vuole usarlo contro di me? Non me ne parla perché sa delle cose che servono a distruggermi?
Mi viene voglia di parlarvi di questo seminario XVII che io trovo straordinario. Prenderò la questione da questo lato allora, dal lato del seminario che è stato per me l’incontro con un Sapere che mi appassiona ancora.
Lacan divide in quattro parti i rapporti che si hanno col Sapere. Li chiama discorsi. Questo dunque è il seminario su i quattro discorsi che sono: quello dell’ università, quello del padrone, quello dell’ isterica e quello dello psicoanalista.
Ognuno di questi personaggi (discorsi) ha un rapporto speciale con il Sapere.
Prendiamo in esame per brevità in questa sede solo due di questi discorsi. Il primo, quello dell’ Università.
Ora per capirci meglio mettiamo al posto di Università la parola scuola.
La scuola che ha il Sapere, che lo detiene dice:- I bambini devono essere autonomi nello studio, perché? Perché lo dico io. Perché io sono la Scuola e in quanto Scuola so tutto. Il mio Sapere è indiscutibile. Di questo Sapere te ne do quanto ne voglio io, quando voglio io e se lo voglio io.
L’unica cosa che tu puoi fare, per accedere a questo Sapere, è metterti alla scrivania e studiare a memoria gli affluenti del Po e venirmeli a ripetere domani.
Queste erano le scuole di una volta, le scuole che si mettevano solo nel posto del padrone e non capivano che i bambini hanno bisogno di avere un certo rapporto col Sapere per potersene appassionare, per avere voglia di studiare e sopportare di conseguenza la partita che questo comporta.
Purtroppo anche certi genitori hanno questo rapporto col Sapere. “Sei troppo piccolo, non ho tempo, te lo dirò più avanti, io so che si fa così perché sono grande, quando sarai grande, lo saprai anche tu”
I bambini capiscono allora che è inutile arrabattarsi tanto per conoscere, per capire: il Sapere è cosa lontana, che non li riguarda, che viene usato come strumento di potere e di forza. Non c’è posto per loro in questo discorso.
Nella psicosi incontriamo esattamente questo. Quando abbiamo davanti dei bambini psicotici, ciò che si vede in maniera macroscopica è la loro esclusione dal Sapere, dal Sapere soggettivato, dal Sapere che li riguarda. Ad esempio incontriamo ragazzi psicotici che hanno avuto una carriera scolastica sorprendente, perché si erano messi nell’unico posto in cui potevano rispetto al Sapere: ubbidirgli. Ubbidirgli per tenerlo buono, per regolarlo, perché non fosse usato contro di loro.
Una paziente psicotica, qualche tempo fa, mi disse che voleva diventare un magistrato, perché era sotto processo da tutta la vita, la sua famiglia la accusava di cose che non faceva e la puniva anche corporalmente. Questo esempio mi sembra che possa chiarire bene questo concetto. Il Sapere veniva usato capricciosamente dai familiari: sei una poco di buono, ne sono certo e per questo ti punisco! Se la legge è così sregolata, allora voglio studiare la legge, tutta la legge italiana, così io posso servirmene per fermare l’ Altro del Sapere.
Poi c’è l’isterico. L’ isterico ha una posizione speciale rispetto al Sapere, vuole capire che posto ha nel Sapere dell’ Altro. Vuole sapere se è speciale per chi sa. Vuole sapere se è il preferito della maestra, il prediletto dei genitori. Vuol comprendere se la maestra ce l’ha con lui, se i genitori preferiscono il fratello.
Tutto il giorno l’isterico fa quest’operazione d’interrogazione dell’ Altro, del Sapere per vedere se c’è qualche parola speciale per lui. E’ una posizione molto tipica nei bambini, mi spingo a dire che è la più frequente, soprattutto nelle bambine, ma in questa fascia di età, in cui la pulsione, come vi dicevo è fuor gioco, si riscontra spesso anche nei maschi.
L’isterico non è interessato al Sapere scolastico, perché non parla di lui, è interessato solo nel momento in cui lo declina con il suo posto nel mondo: studio così sono bravo e sono il preferito della maestra; non studio perché tanto mio fratello è più bravo, l’ Altro mi vuole pecora nera e pecora nera sarò.
Questo fa la maggior parte dei vostri bambini tutto il giorno: usa la scuola, lo studio delle materie scolastiche come un termometro per rilevare un Sapere molto più grande, l’unico che davvero lo appassiona.
Qui è il difficile. Qui torniamo alla mia paziente, quella di cui vi ho parlato all’inizio: stira per mostrare alla figlia d’ avere molto da fare, di non avere tempo per lei, lei se la deve cavare da sola, gliel’hanno detto le maestre.
In verità però nel suo cuore vorrebbe stare lì a studiare con lei, starle accanto, perché sua figlia fa il tempo pieno e studia a casa solo due giorni a settimana e in quei due giorni le piacerebbe poter fare le cose insieme con lei.
La bimba lo sospetta, sospetta che la mamma vorrebbe stare con lei, c’è qualcosa che non la convince in tutta questa storia e in queste faccende domestiche della mamma.
Alla bimba interessa la verità dell’ Altro, non le interessa quanto tempo impiegherà a fare i suoi compiti, se i dinosauri si sono estinti, non le interessa impiegare poco tempo così poi potrà giocare, le interessa solo che la mamma le dica la verità rispetto al posto che lei occupa nel suo mondo.
“T’interesso più io o le faccende? Sei davvero così occupata a stirare per non avere un’ora da stare con me? Vuoi davvero che diventi già autonoma, che mi separi da te?”
Quante volte ci sentiamo raccontare che fare i compiti diventa un incubo. E’ un momento terribile.
E’ vero, perché tutto questo Sapere in campo fa confusione.
Perché studiare, è fatica allora in questa fascia di età?
Perché ai bambini non interessa altro che capire cosa ci fanno nel mondo e si trovano invece a dover imparare a sopportare che qualcosa esiste di là da loro.
La risposta comportamentale che la nostra mamma ha trovato è stata: -Guarda che devo stirare, non esisti solo tu. Guarda che devo lavorare per questo vai a scuola. I genitori vanno a lavorare e i bambini vanno a scuola, andare a scuola è il tuo lavoro.
Non è con le regole che si aiutano nel rapporto con il Sapere.
Come vediamo in questo caso, la mamma dà le regole e la bambina le rispetta, ma trova un escamotage per arrivare comunque dove le interessa arrivare: non fa i compiti, fa spazientire la madre, la fa urlare, le fa smettere di stirare per sgridarla, per litigare, per averla lì:- Se hai tempo per sgridarmi, per punirmi, per urlare, allora hai tempo per me, lo vedi?
La bimba ha scoperto le carte, ha toccato con mano la verità e il resto del Sapere è passato in secondo piano. Il Sapere che è rimasto dal lato della scuola a lei non interessa, perché la sua posizione è diversa.
Lo trovo di straordinaria utilità questo passaggio Lacaniano e spero di essere stata abbastanza chiara.
L’invenzione dunque è aiutare i nostri bambini a mostrare che nel Sapere della scuola c’è qualcosa che li riguarda, che riguarda la loro verità, il loro posto nel mondo.
Le maestre e i professori della scuola in cui siamo so che fanno un gran lavoro in questa direzione, ma il grosso della faccenda spetta a voi genitori.
Che cos’ ho detto in seduta alla mamma che doveva rendere autonoma la figlia?
Le ho detto di stare con sua figlia, di fare i compiti con lei. Non perché questa sia un’indicazione giusta o valida per tutti, ma perché me l’aveva detto lei: - Fosse per me, starei con lei.
Ci stia allora, non le faccia confusione rispetto alla sua verità, non le intorpidisca le acque, non faccia in modo che il Sapere della mamma sia così tortuoso da farle perdere tutto quel tempo a interrogarlo.
Stia con lei, le faccia vedere che i dinosauri che studia sono gli stessi che guarda nel cartone animato in televisione; che i conti che fa sono gli stessi che le servono per controllare il resto in edicola o dimostrare se è più alta di suo fratello.
Soprattutto però non le faccia tutta quella confusione sulla sua verità, non le dica che va a lavorare perché deve, ma perché le piace, perché qualcosa del suo lavoro le interessa, fosse anche solo avere lo stipendio.
Mostrate che vi appassiona qualcosa oltre loro, non nascondetelo, non vergognatevene. Vi appassiona leggere, ascoltare la musica, vi appassiona vostro marito, vostra moglie, vi appassiona disegnare…fatelo vedere! E’ un buon modo per mostrare che c’è qualcosa nel vostro Sapere che manca, che lo ricercate altrove; c’è qualcosa nel vostro discorso che non finisce con loro. È questo posto vuoto che permetterà loro di aver voglia di Sapere. Permetterà loro di interrogare un Sapere infinito, che non finisce con voi e su di loro.
La spinta dell’ isterico è cercare la verità su di sé. Lo fa interrogandovi, interrogando le vostre parole, con una costanza e una tenacia invidiabili. Vi tenderà sempre gli stessi tranelli. Vuole essere l’unico al mondo, vuole che voi glielo dimostriate. Le cose che gli direte non gli basteranno mai, è abile a leggere contraddizioni e inciampi, vi aspetta sempre al varco. I bambini sono in questa posizione, non sanno crearsi autonomamente un posto nel mondo e vogliono trovarlo attraverso le vostre parole.
Regalategli il vostro Sapere prima di lui, raccontategli la sua storia, e mostratevi appassionati alla sua esistenza, a ciò che di lui ora non sapete. Cosa gli piace? Chi sono i suoi amici?
Dall’ altro lato mostrate che esiste un mondo di là da lui, di cui siete appassionati, di cui siete interessati. Indicategli che c’è un aldilà in cui cercare, che il vostro Sapere è finito, è poco e che v’interessa sapere ancora.
Questo lo aiuta a capire che c’è un Sapere che vi supera, che va di là da voi e che voi stessi interrogate, di cui voi stessi vi appassionate.
Il Sapere, come avete compreso, non è per forza qualcosa di scolastico. Il Sapere è un desiderio, è qualcosa che non avete raggiunto e che continua a farvi muovere in quella direzione.
Mostrate la mancanza nel vostro discorso, mostrate che avete delle cose da imparare, sul lavoro, sugli hobbies, sull’ amore….e su vostro figlio.
L’isterico esiste se esiste un padrone (Lacan direbbe il contrario, ma voglio semplificarvi le cose). Se state nel posto del padrone, nel posto di quelli che sanno, che non mancano di nulla, il vostro bambino sarà per forza, nel migliore dei casi, in una posizione isterica.
Prendiamo il solito esempio, la nostra mamma. Se le dice:- Devi essere autonoma perché si fa così, hai l’età per studiare da sola, io devo stirare.
È ovvio che questo discorso non lascia posto al discorso del bambino e il bambino farà di tutto per trovarselo un posto in quelle parole lì, a costo di farvi saltare i nervi e prendersi anche una sberla.
Se la mamma invece di mettersi a stirare (di cui evidentemente non le importava molto), invece di metterla sul lato educativo della regola (devo stirare - devi studiare) l’avesse messa sul lato della sua passione avrebbe scoperto le carte e la bimba non sarebbe rimasta impigliata nella trappola.
“Mentre fai i compiti, disegno, perché devo imparare a fare meglio il ritratto dal vivo…” “Mentre fai i compiti leggo un libro che riguarda il mio lavoro perché mi interessa aggiornarmi, imparare cose nuove…”
Qualcosa m’interessa, di un Sapere che va di là da te, c’è uno spazio vuoto da riempire con qualcosa da imparare.
Il bimbo non dirà più: che posto occupo per mia madre? Per mio padre? Ma dirà come mai c’è qualcosa che la interessa di là da me? Come mai vuole sapere delle cose di là da me? Ci sono dunque delle cose che mi trascendono?
Sì, ci sono.
Ci sono perché voi genitori non siete onnipotenti, ma siete mancanti, quindi desiderate. E’ una bella notizia che ci sia qualcosa di là da lui.
La prenderà male forse (non è detto) le prime volte, ma poi sarà molto pacificante sapere di non essere la vostra ragione di vita.
Essere la ragione di vita, essere chi allieta la vita del genitore è un posto pericolosissimo da occupare. Perché se un giorno avrà voglia di distrarsi un attimo, di andarsene a fare un giro, di studiare qualcosa di là da voi, voi che fine farete?
Ascoltavo tempo fa la mamma di una mia paziente di diciassette anni, era venuta, quando la ragazza ne aveva quattordici, per problemi scolastici.
La figlia aveva scelto lo stesso liceo della madre, era sempre stata brava e, improvvisamente, andava malissimo a scuola, perché?
La madre venne in Dedalus, ed era molto arrabbiata. Tra le altre cose sosteneva che la figlia non capiva che lei aveva degli altri interessi oltre a lei; che era giunto il momento che si staccasse; che aveva dedicato troppi anni ad occuparsi della bambina ed ora, che era grande, doveva prendersi il suo tempo come donna. La figlia urlava: sei una bugiarda, sei falsa. Lo urlava con tutto il fiato che aveva in gola, piangendo, senza capire il perché.
Dopo tutto il discorso di oggi credo che capiate bene la difficoltà di questa coppia mamma-figlia. La ragazza era sempre stata la sola occupazione della mamma e ora che era cresciuta basta, il tempo era scaduto. Entrava dalla finestra il Sapere della legge del buon senso, un Sapere improvviso, capriccioso, che non riguardava la ragazza:- E’ così, perché è così, perché hai quindici anni!
-Ma come? Sono quindici anni che faccio di tutto per essere la tua ragione di vita, colei che ti tiene in piedi, ho anche scelto il tuo stesso liceo perché tu fossi contenta…e ora, all’improvviso, mi dici che era tutta una bugia? Che c’è qualcosa che t’interessa di là da me, che non sono l’unica cosa che ti fa alzare dal letto la mattina. Che non vedevi l’ora che crescessi per tornare a farti la tua vita? Allora a me della scuola non interessa niente, della maledettissima scuola, che avevo scelto per essere la tua ragione di vita, per tenerti in vita, ora non m’importa nulla, perché in fin dei conti della scuola non mi è mai importato nulla, tranne il fatto che mi rendesse unica al mondo per te.
Arianna Marfisa Bellini
Psicoterapeuta
Responsabile Centro Dedalus di Jonas
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