
INTRODUZIONE
Questo mio intervento articola tre concetti principali: transfert, controtransfert e desiderio dell’analista.
IL TRANSFERT PRIMARIO
Inizierò parlando del transfert primario, che si produce a conseguenza dell'estrazione dell'oggetto da parte dell'Altro. Il soggetto è stato privato dell'oggetto, che era una parte di sé. Lacan conia il neologismo separere per indicare questa sorta di partizione interna. L'oggetto è così spostato nel campo dell'Altro ed è lì che il soggetto andrà a cercarlo. Proprio questa configurazione ci permette di eseguire una prima diagnosi differenziale: in questo soggetto c'è stato transfert primario? L’oggetto (a) è stato estratto ed è situato nel campo dell'Altro? Per dirlo in modo ancora più semplice: questo soggetto è in perdita, gli è stato sottratto qualcosa? È un soggetto mancante? Se è così siamo nella nevrosi. Se invece quest'operazione non è andata a buon fine l’oggetto (a) non è perduto, non è mai stato trasferito nel campo dell'Altro. Il soggetto non ricerca nulla nel campo dell'Altro; è piuttosto l'Altro che cerca nel soggetto il suo godimento. Si tratta di un ribaltamento strutturale del transfert primario. È l’Altro che vuole sapere e che vuole godere del soggetto. Nella nevrosi il transfert implica l'enigma del desiderio dell'Altro, del quale non sono note le intenzioni. Nella psicosi il transfert è sempre dell'Altro sul soggetto. È l'Altro e non il soggetto che vuole amare, sapere, godere del soggetto. Nella psicosi il soggetto coincide con l’oggetto (a). Questa era una distinzione classica che ci permetteva di orientarci a proposito della diagnosi per collocarci in modo appropriato nella direzione della cura. Ma l'Altro contemporaneo non estrae l'oggetto: non svezza. Il soggetto contemporaneo patisce di una parziale, incompleta, estrazione dell’oggetto, che così ristagna, con una modalità più simile a quella che riscontravamo nella psicosi. Dove possiamo rilevare questo? Da una parte la civiltà contemporanea concepisce lo sviluppo del bambino come la crescita di una pianta, che ha il suo programma già nel seme, con tutte le informazioni necessarie. Basta fornire acqua e luce, e interferire il meno possibile. Ostetriche e pediatri ammoniscono sul rischio di traumi da svezzamento precoce, promuovendo una supposta naturalezza dei bisogni e una capacità di autoregolazione del bambino. Così i genitori sono paralizzati e attendono impotenti che il bambino stesso decida che è arrivato il momento dello svezzamento e del controllo degli sfinteri. Poi rimangono perplessi perché il momento non arriva mai. Ma le pulsioni non sono gli istinti, non si regolano da sole, ci vuole l’intervento dell’Altro. E infatti quando l’Altro familiare non interviene, subentra l’Altro sociale: il bambino non può frequentare la scuola materna se è ancora attaccato a succhiotto e pannolino. Quindi nell’estate precedente i genitori procedono controvoglia a uno svezzamento maldestro e tardivo. 2/6 Tutto questo potrebbe sembrarvi molto immaginario. Ma vi ricordo che spesso è l'immaginario a veicolare il simbolico. L'interdizione dell'incesto non si enuncia. Quello che si dice al bambino è “Tu non dormi con mamma e papà, dormi nel tuo lettino”. Questo è il modo di trasmettere la legge del simbolico attraverso degli elementi immaginari. È così che nella contemporaneità il transfert primario è debole, parziale, incompleto. Per questa ragione è spesso difficile produrre l’aggancio transferale nella clinica contemporanea. Come fare a generare transfert nel proprio paziente o potrei dire nella persona che si rivolge a noi, che non è ancora il nostro paziente, anche perché il più delle volte è molto impaziente e non è per niente facile renderlo paziente. La società contemporanea ci bombarda di stimoli e il soggetto è sempre più disorientato in un in uno zapping continuo tra oggetti gadget e stimolazioni diverse. Lacan diceva che il segreto sta nel far sentire al paziente che la parola che gli rivolgete lo riguarda perché gli è peculiare. (Funzione e campo, 1953, p. 284) Ma non sempre è possibile eseguire questa magia nel poco tempo che abbiamo a disposizione. Anche la diagnosi differenziale diventa meno chiara, perché pure nelle strutture nevrotiche l’oggetto (a) ristagna nel campo del soggetto e non è stabilmente spostato nel campo dell'Altro, quindi il soggetto non è spinto a ricercarlo lì. Ricordiamo che l’estrazione dell’oggetto (a) viene definita una rapina che dona. L’Altro ti ha preso qualcosa in cambio di qualcos’altro. Ma se non c’è stata rapina, non c’è stato neanche dono…
POSIZIONE DELL’ANALISTA
È molto probabile che l’analista debba collocarsi in una posizione particolare all’inizio della cura, per poter allestire le condizioni per l’emergenza del transfert. Nel primo libro della collana Jonas (Sulla soglia) Massimo Recalcati parla di una rettificazione dell’Altro: l’analista deve incarnare un Altro diverso da quello che il soggetto ha incontrato nella sua storia, tipicamente incapace di operare con la propria mancanza. Cito: “Si tratta innanzitutto di dire ‘sì’ al soggetto, dunque di incarnare un Altro che sappia non escludere, non cancellare, non rifiutare, non azzittire, non riempire, non soffocare, non tormentare”. Solo così vengono create le condizioni per implicare il soggetto in un legame, cioè in un transfert con l’Altro. D’altro canto il fatto stesso che l’analista risponda al grido di aiuto del soggetto lo colloca come amato: l’analista è lì per lui, e se il percorso della cura lo spingerà a riposizionarsi come amante, non bisogna avere fretta di produrre questo spostamento. Lacan dice nella Direzione della cura e poi lo riprende nel Seminario VIII, Il transfert, che l’analista gioca con le carte del morto, ma questo significa che l’analista deve fare il morto? In un convegno di qualche anno fa abbiamo discusso a proposito dei rischi di due posizioni estreme che può assumere l’analista. La prima è quella tradizionale: i postfreudiani propongono una rappresentazione sterilizzata dell'analista, l'analista deve fare il morto, cadaverizzare la propria persona, quello che vediamo ancora oggi nelle vignette e in molti film, con l'analista mummificato che non dice una parola per tutta la seduta, limitandosi a mugugnare, e si anima solo quando l’orologio gli annuncia che la seduta è finita. La seconda è quella di incarnare un analista eccessivamente vivo. Spesso nelle depressioni contemporanee la decifrazione diventa meno centrale mentre invece è fondamentale risvegliare la vitalità del soggetto, perché il depresso è un soggetto che ha perso il senso della vita, che sembra non avere desideri. Il compito dell'analista quindi sarà quello di ripristinare in questo soggetto il 3/6 desiderio, il desiderio in quanto manifestazione della vita, un desiderio che acconsente al godimento, non un puro desiderio di morte che è quello che abita il depresso. E come potrebbe farlo se è un cadavere anche esso stesso? Bisogna stare in bilico tra queste due posizioni estreme. Ma c’è un punto dove l’analista deve davvero fare proprio il morto, secondo Lacan, ed è dove sono coinvolti i suoi sentimenti, quello che possiamo includere nel controtransfert. “I sentimenti dell’analista hanno un sol posto possibile in questo gioco, quello del morto” dice Lacan nella Direzione della cura, “e se lo si fa rivivere, il gioco prosegue senza che si sappia chi lo conduce”.
IL PROBLEMA DEL CONTROTRANSFERT
Lacan dedica un capitolo del Seminario VIII, Il transfert alla critica del controtransfert. È chiaro che ogni analista ama di più qualche paziente, odia di più qualcun altro, qualcuno gli sta più simpatico, qualcuno gli dice cose che l'analista fa fatica a sopportare, qualcuno lo fa arrabbiare. Questi vissuti sono inevitabili, Lacan aggiunge che sarebbe quasi preoccupante che un analista non li provasse. Ma quello che contesta è il suo utilizzo. La soggettività dell’analista non è il suo strumento di lavoro: non deve utilizzare i propri vissuti per l’interpretazione. Cosa se ne fa l'analista di tutte queste emozioni che i discorsi degli analizzanti gli suscitano e che devono rimanere fuori dalla seduta? C'è un posto destinato ad accoglierle: si tratta della supervisione. Infatti inciampiamo sempre su qualcosa che tocca il nostro stesso fantasma, il nostro punto cieco, il nostro punto di sordità. Per quanto abbiamo fatto un analisi, spesso scopriamo in supervisione qualcosa del nostro fantasma che continua a intralciare il nostro ascolto. In questo senso Lacan critica l'idea del controtransfert come guida per l'analista, nella modalità utilizzata dai nostri colleghi della SPI. Le loro interpretazioni sono praticamente sempre sul controtransfert: non soltanto tutto quello che si dice, ma anche tutto quello che si fa nella seduta è sempre riferito all’analista. Il paziente apre la porta e già riceve un’interpretazione. Si siede, poggia la borsetta o il portafoglio, gli occhiali, sospira, si gratta la testa, sbadiglia: qualunque cosa faccia viene immediatamente interpretata in relazione all'analista e allo hic et nunc della seduta, che altro non è che una ripetizione del già vissuto altrove, con le figure primordiali della storia del soggetto. La relazione tra analista e paziente è una relazione intersoggettiva: nella seduta ci sono due soggetti. Il transfert è identico alla ripetizione: nessuna possibilità di qualcosa di nuovo in questo approccio. Ora mi permetto di dissentire con l’esimio collega che ci ha fatto visita qualche mese fa: nella seduta analitica c'è un solo soggetto ed è l’analizzante. Tra l’altro questa è l’idea di Lacan e anche di Recalcati. Che cos’è dunque l'analista? Non è un soggetto? Certo che lo è, da un punto di vista descrittivo, ma la sua soggettività non è ammessa all'interno della seduta, deve rimanere fuori dalla porta. E soprattutto, la sua soggettività non è il suo strumento di lavoro. Questo significa che nello schema della cura l'analista interviene collocandosi in un posto preciso che è quello di fare sembiante di oggetto (a) per il suo analizzante. Abbiamo detto che l’oggetto (a) è il prodotto dell’operazione di separazione interna nella quale il soggetto perde un pezzo di se stesso quando accetta di farsi rappresentare dal significante, cioè quando accetta l'iscrizione nell'Altro. Quel pezzo perduto di sé diventa allora la causa del suo desiderio e questo è il posto che l'analista deve occupare. Nella seduta analitica l’analista non è un soggetto, ma il sembiante di un oggetto.
I SINTOMI DELL’ANALISTA
Se i sentimenti dell’analista, nella seduta, sono al posto del morto, in che modo allora bisogna fare il morto? Si tratta soprattutto di disattivare il proprio io, di mettere tra parentesi il proprio fantasma, per poter intervenire nella cura come funzione simbolica distinta dalla persona dell'analista. Come e perché l’analista può fare questo? Facciamo un passo indietro: per poter fare l’analista bisogna essere guariti da tutti i propri sintomi? Non è detto, ma c’è un sintomo che è assolutamente incompatibile con la funzione dell’analista, ed è la smania di guarire. Per poter analizzare è necessario essere guariti dalla smania di guarire, il noto furor curandi. Il desiderio di guarire è di pertinenza del sapere medico. Questo vuol dire che non ci interessa nulla del dolore, del disagio che provano i nostri pazienti? No, piuttosto vuol dire che sappiamo che più il terapeuta (in questo caso) si accanisce sulla guarigione, più questa gli sfugge. La guarigione avviene per giunta, dice Lacan. È una specie di effetto collaterale dell’analisi. Quello di guarire è il più frequente, ma ci sono altri desideri fuorvianti che possono impadronirsi del praticante: il desiderio di educare, di istruire, di comandare, di sedurre… bisogna guarire da tutti questi desideri che sono di pertinenza di altri discorsi, per poter occupare efficacemente la posizione dell’analista, ed è possibile farlo solo se si è abitati da un desiderio più forte di tutti questi, anzi Lacan dice testualmente che bisogna essere posseduti da un desiderio più forte, il desiderio dell’analista. L’analista, ci dice Lacan, è posseduto da un desiderio più forte perché si è prodotta in lui una mutazione nell'economia del suo desiderio. Ha fatto un'analisi e se l'analisi ha prodotto un analista e perché c'è stata la produzione di questo desiderio particolare: il desiderio dell'analista. Infatti è questa la funzione che propone al posto del controtransfert, che considera fuorviante.
IL DESIDERIO DELL’ANALISTA
Il desiderio dell'analista non è un desiderio puro perché un desiderio puro è un puro desiderio di morte. Sarebbe il desiderio di Antigone. Non è questo il desiderio che anima l’analista, che non è un santo né un martire. Lacan si riferisce al desiderio dell'analista in più occasioni. Nel Seminario X dice che è una specie privilegiata di desiderio, che si manifesta nell’interpretazione. Si chiede anche: “Che cosa conviene che sia il desiderio dell'analista perché il lavoro risulti possibile se cerchiamo di spingere le cose al di là del limite dell'angoscia?” Poi riprende la questione all'inizio del Seminario XI chiedendosi che cosa deve essere il desiderio dell'analista perché egli operi in maniera corretta. Questa domanda può rimanere fuori dai limiti del nostro campo, come succede nelle scienze dove nessuno si interroga rispetto per esempio al desiderio del fisico? E qualche riga sotto risponde: il desiderio dell'analista non può essere lasciato fuori dalla nostra questione, per un motivo molto semplice: è un problema posto dalla formazione dell'analista. Possiamo discutere molto a proposito della formazione degli analisti ma qualunque idea ci facciamo a questo riguardo sembra chiaro che dovrebbe produrre il desiderio dell'analista. Quindi cerchiamo di capire meglio di che cosa si tratta. Nella Nota italiana Lacan lo definisce un desiderio strampalato, un desiderio non comune, che non viene a tutti. L’esigenza di aver fatto un analisi, per chi vuole diventare analista, è condizione necessaria ma non sufficiente. Dopo che avrà isolato la causa del suo orrore di sapere, saprà 5/6 essere uno scarto, dice Lacan. E se la cosa non lo porta all'entusiasmo potrà essere stata analisi, ma di analista nessuna possibilità. Dunque bisogna saper essere uno scarto. Si tratta del desiderio di preparare la propria scomparsa, di fare andare le cose in modo di rendersi non necessario per l’analizzante, in modo che l’analizzante possa disfarsi dell'analista come se si trattasse di uno scarto dell'operazione analitica. Di tutti i sembianti di oggetto (a) che siamo chiamati a incarnare, questo è forse il meno simpatico, eppure l’analista deve sapere che è così che finisce l’analisi e deve condurla fino a lì, almeno per quanto riguarda l’analisi degli analisti in formazione.
DECIFRAZIONE E CAUSA DI DESIDERIO
L’amore di transfert spinge l’analizzante a convocare l’analista nel posto dell’Ideale dell’Io, in un posto idealizzato, ed è in questo senso che il transfert ostacola l’analisi, come diceva Freud, perché il soggetto non vuole sapere nulla della propria pulsione, dell’oggetto che lo divide, causando il suo desiderio. Ma l'analista fa sembiante di oggetto (a), presentificando l'essere pulsionale del soggetto. In questo modo lo pone di fronte al proprio desiderio singolare, un desiderio che non dipende più né dal desiderio dell'Altro né dalla domanda d'amore. Per fare questo però è necessario che l'analista riesca a mantenere la distanza tra il punto da dove il soggetto si vede amabile e quell'altro punto dove il soggetto viene messo in connessione con la mancanza che lo causa. Infatti per Lacan il desiderio dell’analista è il desiderio di ottenere la massima differenza tra l’oggetto (a) e l’Ideale dell’Io. Il desiderio dell’analista riconduce la domanda alla pulsione, rimette in collegamento ciò che il transfert aveva allontanato. Il desiderio dell’analista è fondamentalmente un desiderio senza domanda; l’analista si astiene dal domandare per permettere che sorgano le domande del soggetto. La regressione in analisi non riguarda una regressione nella realtà, ma una regressione simbolica della domanda: riappaiono le forme primarie in cui si è storicamente costituita la domanda in ciascun soggetto. Si tratta del “ritorno al presente di significanti in uso in domande per le quali c’è prescrizione”, dice Lacan nella Direzione della cura. (1958) In analisi non si soddisfa alcuna domanda dell’analizzante, soprattutto quella di essere amato. Bisogna tacere l’amore, frase di Lacan (Conferenza a Lovanio) ripresa e approfondita da Recalcati. Sono d’accordo, certo, bisogna tacere l’amore… ma anche l’odio e qualunque altro sentimento, come si diceva prima, che troveranno posto nella supervisione. Tacere l’amore, non perché l’analista sia cattivo, ma per favorire l’emergenza dell’amante al posto dell’amato. Da eromenos a erastes. Nel Seminario XI (1964) Lacan pone l'ipotesi del Soggetto supposto sapere, l'idea del soggetto che nel luogo dell'Altro risiede un sapere che gli è stato sottratto e che riguarda profondamente la verità del proprio essere e del proprio desiderio inconscio. Il soggetto entra nel dispositivo analitico solo quando si instaura il Soggetto supposto sapere. Ma l’analisi lavora per decostruire questa supposizione, riconducendo il sapere al soggetto stesso nel suo rapporto con l’oggetto (a) che lo causa. Inoltre, in analisi non c’è solo ricerca della verità, è che il soggetto è rapito dall'amore nei confronti di quell'altro, l’analista, che suppone detenga la verità su di lui, sul suo essere e la sua mancanza. 6/6 La distinzione fra transfert e ripetizione è correlativa alla sempre maggior importanza attribuita da Lacan alla posizione dell’analista come sembiante di oggetto (a), e non solo come soggetto supposto sapere. Nell’analisi l’analista è chiamato a incarnare l’oggetto agalma, supporto ultimo del transfert. Nel luogo dell'Altro si nasconde un oggetto meraviglioso e perduto, l’oggetto (a). Ma perché sia meraviglioso è necessario che sia stato perduto, solo così può essere ricercato, reperito nel campo dell’Altro, solo così l’oggetto può diventare agalma e calamitare il desiderio del soggetto. Come conciliare il lato epistemico e il lato erotico dell’analisi? A cucirli insieme è proprio il desiderio dell’analista. Cito Lacan, Seminario XI: “Se il transfert e ciò che scosta la domanda dalla pulsione, il desiderio dell'analista e ciò che ce la riconduce. E, per questa via, egli isola l'oggetto a mettendolo alla maggior distanza possibile dall’I maiuscola che egli, l'analista, è chiamato dal soggetto a incarnare. È da questa idealizzazione che l'analista deve decadere per essere il supporto dell'oggetto (a) separatore”.
L’AMORE DI TRANSFERT E L’AMORE
L’amore di transfert è vero amore o è solo ripetizione? Perché spesso abbiamo l’idea che l’amore di transfert sia un amore finto, un amore di seconda categoria. Non era questa l’idea di Freud, per lui l’amore di transfert era tanto vero quanto qualunque altro amore. E quindi si impone un’altra domanda: l’amore, è sempre amore di transfert? Anche negli amori della vita e non solo in analisi, nell’amore per il partner, c’è sempre di mezzo la ripetizione? Allora: l’amore di transfert è vero amore, così vero come qualsiasi altro amore. L’amore per il partner spesso è amore di transfert, se il soggetto lo ama specularmente, come versione più riuscita di se stesso. Amo l’altro perché mi somiglia, perché è una parte di me: è un amore narcisistico. Purtroppo questo genere di amore può avere esiti infausti, non appena l’altro dà segnali di non essere una parte di me, di essere diverso, inassimilabile, ingovernabile, e quindi minaccioso. Ma l’eteros, come dice Recalcati, è necessario all’amore. L’eteros non c’entra niente con l’anatomia, né con il genere. C’entra con il riconoscimento dell’assoluta eterogeneità tra me e l’altro. Si tratta di amare la particolarità inimitabile dell’altro. Amare l’altro proprio perché è diverso: questo amore è possibile solo a chi ha fatto i conti con la castrazione, a chi si è affrancato dal proprio narcisismo. Ogni amore, quello di transfert come quelli della vita, ha un elemento di ripetizione, dettato dal nostro inconscio, ma può avere anche un elemento di novità che consente l’invenzione. A volte si tratta di calibrare meglio le proporzioni tra i due elementi, perché l’amore faccia soffrire di meno e si accordi meglio al godimento pulsionale. Nessun miraggio di armonia: dobbiamo sapere che ci sarà sempre qualcosa che scricchiola. Ma questo non ci impedirà mai di provarci e di riprovarci… ancora.
Maria Teresa Rodriguez, psicoanalista Jonas Trieste: intervento al XV Seminario Jonas, 9-11 giugno 2017 Trieste
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