BULLISMO E BABY GANG: "MASCHERE" DEL DISAGIO

BULLISMO E BABY GANG: "MASCHERE" DEL DISAGIO

 Arianna Marfisa Bellini

Intervista al Sabato Sera Imola

Domenica 20 febbraio 2022

 

 

Aggressioni o furti a coetanei, violenza verbale e non solo a scuola o contro persone più deboli come gli anziani, vandalismi e danneggiamenti contro edifici pubblici, episodi in crescita che vedono come colpevoli adolescenti anche giovanissimi. Il fenomeno è davvero in crescita oppure semplicemente se ne parla di più?

 

I dati delle Procure dei minori ci mostrano che in realtà non c’è nessun incremento del fenomeno. I numeri sono più o meno sempre gli stessi, Questo non è comunque consolatorio: perché non riusciamo a fare nulla per diminuire questo fenomeno? Non deve crearci allarme l’aumento, deve piuttosto crearci allarme il fatto che tutto questo esiste ancora in un modo così sostanzioso nonostante i corsi di formazione, di sensibilizzazione, i progetti…

Il rischio è che in questi interventi gli adulti si parlino tra di loro rafforzando il divario tra i due mondi e sottolineando solo la fatica di avere a che fare con genitori incapaci di educare e “nuovi adolescenti”.

Come Dedalus ci battiamo sempre per ricordare che non esistono “nuovi adolescenti”, le questioni di questo tempo della vita sono le stesse che potete leggere nei casi clinici di inizio ‘900. Ci sono nuovi mezzi, non nuovi adolescenti.

 

Come possiamo definire correttamente questi comportamenti? Bullismo, violenza….

C’è una prima grande differenza tra la violenza e il bullismo: la presenza dello sguardo. Il bullismo è sempre una violenza esibita, mostrata sulla scena. Non basta però unicamente la presenza dello sguardo dei pari per fare di un’episodio di violenza un episodio di bullismo.

L’altra grande caratteristica è infatti la reiterazione nel tempo, reiterazione che serve soprattutto per sottolineare i rapporti di forza interni al gruppo: tu sei la vittima, lui è il bullo, noi siamo i gregari ecc…

 

E' un effetto post-pandemia oppure qualcosa che covava sotto la cenere già da prima? Quali sono le cause?

Come dicevamo prima non ci sono novità causate dalla pandemia. Indubbiamente però possiamo sottolineare che i ragazzi si organizzano in gruppi di bulli o in baby gang quando hanno la percezione che gli adulti non siano in grado di applicare una legge giusta, equa. La pandemia ha frammentato il mondo degli adulti, la loro rete sociale, le loro certezze. La legge dello Stato, della Scienza, delle istituzioni hanno vacillato, sono state messe in discussione. Gli adulti si sono sicuramente sentiti smarriti e difronte a questo i ragazzi si sono alleati tra loro in una sorta di mondo utopistico. La violenza regola i legami in modo disangosciante: i ruoli in una banda di bulli o in una baby gang sono chiari.

 

La presenza di "capette" o "branchi" al femminile è una novità?

Anche questo fenomeno non è nuovo, sicuramente possiamo sottolineare che il bullismo al femminile spesso utilizza internet come mezzo per l’affermazione della propria forza. Sono meno frequenti, seppur esistenti, i fenomeni di violenza fisica. La violenza è maggiormente verbale e soprattutto relazionale: gestiscono i rapporti, isolano. Utilizzano maggiormente le etichette del gruppo, “le fighe”, “le sfigate”, “le popolari”… Solitamente gestiscono anche le relazioni delle altre ragazze rispetto al gruppo dei maschi con cui si alleano. Possiamo dire che le ragazze sono interessate sempre ai rapporti d’amore e di amicizia, le loro azioni di bullismo sono legate alla regolazione di questi legami. I ragazzi sono maggiormente interessati ai rapporti di forza, alla leadership, al rispetto, al timore, all’affermazione del proprio potere.

 

Quali sono i segnali a cui occorre stare come adulti per capire che un ragazzo ha un problema del genere e soprattutto che fare?

Proprio in questi giorni leggiamo sui giornali gli adulti coinvolti negli episodi di bullismo negare il fenomeno. I dirigenti scolastici, i genitori dichiarano sempre, anche difronte ale evidenze che “non si può parlare di bullismo”. Gli adulti impauriti ed angosciati cercano di ripristinare il velo che copriva tutto. Ma la violenza squarcia il velo di perbenismo ed i ragazzi chiedono a gran voce di essere visti.

Il bullismo soprattutto si ciba di questo silenzio, di questa omertà di questo sguardo degli adulti sempre volto altrove.

Il bullismo esiste quando non li vediamo, non ci accorgiamo di loro, minimizziamo. Il bullismo è una maschera che i ragazzi si mettono per affrontare da soli un mondo che li angoscia.

Vasco Rossi nel 1982 portò in un San Remo patinato ed edulcorato, una delle sue canzoni più famose “Vado al Massimo”. Durante l’esibizione ci fu il famosissimo e scandaloso episodio del microfono buttato a terra. Il cantante anni dopo raccontò che era tutto nato da una sua difficoltà: preso dall’entusiasmo dell’esibizione aveva tolto il microfono dall’asta ma nel momento di andarsene non sapeva come rimetterlo al suo posto. Per non fare la figura dell’incapace si mise il microfono in tasca ma il filo era corto e gli cadde. Maggiormente imbarazzato dalla figuraccia lo lasciò a terra, dicendo “cazzo me ne frega ho già cantato”. Così è nato il mito che ha contribuito a renderlo una rockstar. L’angoscia di apparire uno sfigato incapace è stata mascherata con una posizione da bullo, da persona forte, sicura di se. Di questo dobbiamo ricordarci quando abbiamo a che fare con episodi di bullismo: sono maschere che nascondono un disagio. Continuare a non guardare o intervenire solamente con la punizione sono entrambi atteggiamenti che non fanno altro che cementificare questa maschera sulla faccia dei ragazzi. Anche per la vittima vale lo stesso discorso: il paradosso della vittima è proprio questo: trovare un posto nel gruppo, non solo, trovare un posto nel mondo.

Con questo non sto dicendo che atti di violenza non vadano puniti e contenuti, la responsabilità delle proprie azioni è la prima strada sempre, dopo quella però è necessario un lavoro sulla responsabilità delle proprie maschere.

Solo così si può interrompere il cortocircuito tipico del bullismo in cui vittima e bullo si scambiano i ruoli in una eterna ricerca di un posto nel mondo che non dice davvero nulla delle persone che sono in realtà.

 

Pubblicato da Dedalus Bologna il