Waltz- Johann Strauss: una musica senza parole per parlare delle identificazioni.

Waltz- Johann Strauss: una musica senza parole per parlare delle identificazioni.

Giocare con le identità significa provare a crearsi un abito con cui andarsene in giro per il mondo, con il quale non apparire nudi e di conseguenza angosciati, allo sguardo dell' altro. 

 

Il commento è sempre partito dal testo di una canzone, questa volta vogliamo invece utilizzare la musica senza parole per trattare un argomento centrale della psicoanalisi: le identificazioni.

La musica classica è in assoluto di tutte le forme musicali la più evocativa, non spiega, non descrive, ma lascia immaginare.

Tutto parte da una seduta fatta con una mia paziente di 19 anni: aveva studiato danza classica da quando ne aveva 6, a 17 però un incidente le ha causato problemi ad una caviglia. Da allora ha smesso di ballare, ha dovuto. Viene in Dedalus per parlare dei suoi terribili attacchi di panico: avvenivano da poco più di 6 mesi sempre quando stava attraversando una strada, una piazza, un androne. Le tremavano le gambe a tal punto che avendo la sensazione che le avrebbero ceduto si paralizzava e rimaneva immobile interminabili minuti, in attesa che tutto si fermasse.

Durante una seduta mi raccontò che da quando aveva dovuto interrompere gli studi di danza non aveva più voluto ascoltare musica classica: è musica senza parole utile solo per pensieri. Una mattina stava correndo verso scuola, in grande ritardo come sempre. Cercando strade alternative per arrivare il più in fretta possibile si trovò a dover attraversare una galleria piena di negozi. Solo il pensiero la fece trasalire, ma era Natale e la galleria suonava una musica costante, in quel momento era il valzer di Strauss ad accompagnare le spese degli avventori. La musica la distrasse le venne in mente uno spettacolo che aveva fatto anni prima, si ricordò qualche passo, il suo luccicante vestito di scena e camminò, come se ballasse, fino alla parte opposta. Per la prima volta nessun attacco di panico bloccò il suo incedere.

Arrivò in seduta emozionata, sorpresa e con una domanda fondamentale: perché se sono vestita da ballerina posso camminare davanti a tutti?

Con il dilagare dei social network si fa un gran parlare delle foto dei profili utilizzate dai ragazzi. Come mai scelgono un' immagine anziché un'altra? Come mai qualcuno modifica tanto spesso la foto ed altri tengono sempre la stessa? Perché giocano con le identitá.

Giocare con le identità significa provare a crearsi un abito con cui andarsene in giro per il mondo, con il quale non apparire nudi e di conseguenza angosciati, allo sguardo dell' altro. Non si può andarsene a spasso per il mondo senza un abito addosso, farlo sarebbe terribilmente angosciante.

Questo è molto diverso dal dire che non si può andare a spasso nudi per il mondo. Essere nudi è già la scelta dell'abito da indossaredell'identificazione a cui appoggiarsi.

Le ragazze giovani che si mostrano senza vestiti su internet stanno indossando un' identità (della prostituta, della mangiauomini, della Lolita...), se così non fosse sarebbe insopportabile per loro farlo.

L'identità è un velo sul reale angosciante del corpo. L'identità non è immobile, unica, statuaria. Le identificazioni sono molteplici, instabili e variabili, soprattutto nel periodo dell'adolescenza. I ragazzi provano a vedere quale vestito sta loro meglio, con quale si sentono maggiormente a proprio agio.

problemi nascono proprio quando c'è una fissità ad una identificazione e un conseguente imbavagliamento della parola del soggetto dell'inconscio.

Essere una ballerina era un'identità che era divenuta fissa, chiusa, nella quale la nostra paziente faceva rientrare tutta la sua vitaCon l'incidente ha dovuto rinunciare brutalmentea questo vestito e non era ancora riuscita a trovarne di nuovi con cui sentirsi abbastanza coperta. Non era abituata a giocare con diverse identità. Era sempre stata la ballerina, la ballerina per i genitori, per i compagni, per la scuola di danza. Tutto il giorno, tutti i giorni, fino all' incidente era la ballerina. Questo le permetteva di sapere cosa incontrava negli occhi dell' Altro se si vestiva con tutù e scarpette: la nostalgica fierezza della madre, l'orgoglio distratto del padre, la clemenza dei professori verso i suoi mediocri risultati scolastici, la mancanza di giudizio delle amiche se non beveva alcolici o non fumava come loro. Per qualche tempo dopo l'incidente l'identificazione era ancora declinabile pur nella sua fissità: era la ballerina incidentata, la ballerina in riabilitazione, la ex ballerina. Quando però aveva deciso di chiudere con la danza si trovò senza abiti per attraversare il mondo e l'angoscia divenne insostenibile. Non si era mai trovata a fare i conti con altre identità: se era una brava ragazza lo era in funzione del suo essere una ballerina. Se era riservata, dolce, poco interessata alla scuola, molto legata ai suoi genitori, senza grilli per la testa, lontana dal mondo dei ragazzi e della sessualità, se era tutto questo lo era perché era una ballerina. Non si era interrogata mai su cosa le piacesse sul serio, su quale fossero le sue caratteristiche, aveva aderito totalmente ad un'immagine, ad un cliché che aveva prelevato dal discorso dell'Altro.

La musica classica, la musica con un vuoto intrinseco: l'assenza di parole le aveva permesso di evocare l'unica immagine che conosceva, con cui si era sempre confrontata.

Quando si insegna ai bambini l'ascolto della musica classica una modalità che spesso si utilizza è proprio quella evocativa. Cosa ti fa venire in mente questa musica?

Se ci pensiamo Fantasia della Disney, ma anche Bambi si basano proprio su questo. Storie evocate dalla musica. Ognuno mette in campo le proprie immagini, intime, diverse, eteree o infernali.

Non sempre l'ideale dell'immagine infatti ha a che fare col bello. Incontriamo un'evidenza di questo in certi avatar di certi giochi on line. Alcuni ragazzi costruiscono i propri personaggi come mostri, altri lo fanno come valorosi guerrieri. L'ideale incontra nel suo costruirsi lo sguardo dell'Altro, il suo desiderio, il posto speciale con cui ci accoglie nel mondo. Qualcosa dell' orrore dunque appartiene a questa immagine e questo orrore può essere messo in primo piano o coperto totalmente, dipende dalla modalità di ciascuno di averci a che fare.

Come si diceva precedentemente i problemi sorgono quando questo ideale incastra i ragazzi senza permettere loro di sperimentare identità diverse: il vestito del mostro e quello della ballerina sono abiti e come tali possono essere dismessi e riposti nell'armadioDicono qualcosa del soggetto che li indossa ma non sono il soggetto che li indossa.

Cambiare spesso la propria immagine sul profilo dei social network ha proprio a che fare con questa inesistenza dell'ideale che non rappresenta mai completamente il soggetto, che porta con sé uno scarto, un indicibile.

Quando l'immagine rimane fissa invece o è metonimicamente sostituita (con immagini che mostrano la stessa identità) significa che qualcosa si è fossilizzato, che il soggetto pensa di aver trovato qualcosa che sa dire tutto di lui e smette di interrogarsi, di domandarsi, digiocare con altre parti anche contraddittorie della sua persona. Si può fare la ballerina senza esserlo, si può fare il padre senza esserlo, si può fare l'insegnante senza esserlo.

Credere alla propria immagine è sempre pericoloso: chiude, fossilizza, obbliga ad un'esistenza senza aperture, costringe ad una vita senza creazione.

 

Pubblicato da Dedalus Bologna il