
L'approccio alla clinica del farmaco deriva da una questione che è oggetto di una riflessione costante: è meglio lenire l’aspetto dell’angoscia o della depressione o lasciare un paziente libero di angosciarsi e di deprimersi? La questione è aperta.
Ci sono persone in grado di tollerare intensi livelli di angoscia, che diventano oggetto di lavoro psicoanalitico; alcuni tollerano l’esperienza depressiva arricchendosi, trasformandola raggiungendo, grazie a questo lavoro, l’al di là del guado.
Ci sono invece pazienti che non riescono ad attraversare l’angoscia senza conseguenze invalidanti sul funzionamento psichico e quotidiano della loro vita. Alcuni hanno un ritmo di vita molto attivo e impegnativo, altri hanno una soglia di attività più ridotta e gestibile con spazi di pausa e di recupero. Sembra un discorso banale, ma si tratta di affrontare differentemente il quotidiano che deve potersi coniugare a seconda dei casi con un funzionamento che garantisca la compatibilità con la vita di tutti i giorni.
Ci sono soggetti che prendono il sintomo come una sfida; lo affrontano direttamente, non vogliono saperne di farmaci. Ci sono invece persone che non ce la fanno, personalità che hanno dei punti di maggiore fragilità o che si trovano a vivere delle difficoltà non facilmente affrontabili. L’uso dello psicofarmaco, quindi, non è indiscriminato per qualunque forma sintomatica, ma fa riferimento alle specifiche del soggetto.
Come interviene il contributo dello psichiatra nel trattamento?
Mi pare importante saper osservare il punto di fatica e di sofferenza peculiare di un soggetto. È difficile accorgersi che un paziente fa fatica. Alcuni riescono a mascherare bene il malessere: sono sempre presenti alle attività, ai gruppi e magari mantengono perfettamente gli impegni presi, senza mai manifestare disagi particolari. In questi casi è la rigorosa formazione dello psicoterapeuta l’elemento più importante, la sua capacità di capire che qualcosa non va, che c’è qualcosa che è a rischio, di comprendere l’affaticamento dei pazienti in un momento particolare del loro percorso. In questi frangenti è necessaria una consulenza psichiatrica. I soggetti più a rischio sono coloro i quali tendono a negare la fatica o la fragilità e spesso a trasformarla nel loro contrario.
L’arte dello psicoterapeuta è anche quella di saper cogliere questo aspetto, fermo restando che non tutto è prevedibile, che non tutto è controllabile e che non tutto si riesce a cogliere, che ci sono degli aspetti improvvisi, inediti, esplosivi in qualunque tipo di patologia. Mi sembra importante cogliere con attenzione quando c’è un momento di affaticamento, di rallentamento, di lamentazione eccessiva del paziente, di appello e intervenire tempestivamente provando a chiedere anche all'assistito stesso se può servire una valutazione psichiatrica, se c’è il desiderio di parlare con uno specialista o la voglia di essere aiutati da un farmaco nel tratto di percorso che sta compiendo. È importante poi mantenere un dialogo preciso con lo psichiatra, che valuterà l’opportunità di somministrare o meno una terapia farmacologica.
dott. Michele Rugo, psichiatra e psicoanalista.
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