Negli Stati Uniti, molti americani della mia generazione e di quelle vicine – che significa molti americani – conoscono l’artista Bruce Springsteen come “Il Boss”. Le canzoni di Springsteen, i suoi testi e i suoi concerti intensi e pieni di energia hanno per decenni attirato fan da tutte le parti del paese, hanno ottenuto consenso dal pubblico e dalla critica, riscuotendo enorme successo. Springsteen è stato sulla vetta dell’industria musicale del pop e del rock.
Recentemente, ha pubblicato un’autobiografia intitolata “Born to run”, come il suo famosissimo album del 1975. Ho appena letto questo libro e sono stato immediatamente colpito dall’alto livello di consapevolezza percepibile nella sua scrittura. A mio avviso, le sue canzoni sono sempre apparse molto dirette con caratteristiche liriche che avrebbero potuto facilmente scadere nel banale e invece – attraverso le sue canzoni e le sue esibizioni – la sensibilità singolare e la perspicacia personale di Springsteen lo elevano ad uno statuto molto speciale nel mondo pop/rock. Questa stessa capacità di esprimere la propria consapevolezza si manifesta anche nel libro, soprattutto nella prima metà che copre il periodo prima del raggiungimento del successo e del riconoscimento mondiale.
Infatti Springsteen dedica molto tempo a descrivere accuratamente le sue origini, la sua infanzia in un quartiere duro ed operaio del New Jersey, con un padre severo e difficile e la sua lotta per cercare di trovare, personalmente e professionalmente, la propria identità (termine che usa spesso). È in questo contesto che nasce la sua passione per la chitarra, per la musica e, in seguito, per cantare e comporre. Ha questa capacità di scrivere con grande sensibilità quello che sente, descrivendo il modo in cui le sue relazioni e il mondo in cui è cresciuto influenzano il suo modo di suonare, il modo di interagire con i vari gruppi e i temi delle sue canzoni e dei suoi album. Qualcosa che enfatizza è il desiderio determinato che sentiva dentro – la sua ambizione, per se stesso e per la sua musica.
Ad un certo punto arriva il successo, raggiunge un enorme riconoscimento e decide di viaggiare attraverso gli Stati Uniti – un viaggio on the road – assieme ad un suo caro amico. Mentre attraversano il Texas in auto, si fermano in una cittadina in festa, con musica e balli e questa scena, racconta, gli provoca un profondo senso di terrore e angoscia – “un’angoscia più profonda di qualunque sensazione mai provata”. Springsteen rimane paralizzato. Racconta che in quel periodo della sua vita si è ritrovato a confrontarsi con qualcosa da cui aveva cercato di difendersi da tutta la vita (“ le difese che mi ero costruito…avevano perso la loro utilità”), qualcosa da cui la sua passione, la sua ambizione ed il suo desiderio lo stavano proteggendo – qualcosa che nel libro cita vagamente come buio, depressione – qualcosa che io interpreto come un pezzo di Reale. Inoltre, in quel punto del suo libro, dopo circa 300 pagine, scrive di essersi confidato con il suo manager, un amico, il quale gli procura un appuntamento con un professionista in California, che, a sua volta, lo indirizzerà verso Wayne Myers, uno psicoanalista di New York. Springsteen scrive di essere stato in terapia con lui per venticinque anni: ”il risultato del mio lavoro con il dottor Myers ed il debito che provo nei suoi confronti sono l’anima di questo libro”.
A questo punto per me, in quanto lettore, questa consapevolezza che percepisco nel libro diventa retroattivamente trasparente – si tratta di un libro scritto dal punto di vista di qualcuno che ha fatto un lungo percorso psicoanalitico e la conoscenza di Springsteen del proprio mondo interiore e del mondo attorno a lui (di cui scrive all’interno di una cornice topologica continua non molto diversa da un nastro di Moebius) dona a Springsteen, come autore che scrive di sé, qualcosa simile a quell’ “ago indicatore in più” che Lacan cita nel Seminario I quando parla degli analizzati che vivono l’esperienza della psicoanalisi e il modo in cui questa incide su di loro – esperienza che non rimuove le emozioni, le opinioni, le fantasticherie, i pregiudizi eccetera, ma permette di acquisire consapevolezza in modo che non vengano agiti. Con l’analisi è possibile utilizzare le proprie emozioni, opinioni, i propri pregiudizi eccetera proprio come un “ago indicatore in più”, per calibrare i propri agiti e il proprio discorso, il proprio modo di stare al mondo. Ebbene, Springsteen riesce a scrivere di sé utilizzando esattamente quell’ago indicatore in più nel quadrante della propria vita.
Tra il Papa ed il Boss, è interessante leggere oggi le testimonianze di leader mondiali, appartenenti ad ambienti sociali molto diversi, che raccontano cosa hanno capito parlando con uno psicoanalista.
Scritto da Thomas Svolos e pubblicato il 27 agosto 2018 sul sito thelacanianreviews.com
Tradotto dall’inglese dalla dott.ssa Gloria Barioni