Gli analisti nella fiction – Psicoanalisi e cinema

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La psicoanalisi e il cinema hanno una nascita gemellare. Nel 1895 vennero pubblicati a Vienna gli Studi sull’isteria di Breuer e Freud, opera considerata come rappresentare l’atto di nascita della psicoanalisi.

Nello stesso anno, in un café dei Grands Boulevard di Parigi ebbe luogo la prima proiezione cinematografica pubblica dei fratelli Lumière, intitolata L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat (proiezione che provocò il panico tra gli spettatori convinti che stessero per essere schiacciati dal treno).

Dato l’impatto considerevole del cinema e della psicoanalisi sul XX secolo – e lo scandalo che provocarono – la loro nascita simultanea non può essere una mera coincidenza! Ci è voluto molto tempo prima che il cinema venisse riconosciuto come un’arte vera e propria, precisamente la settima. Per quello che riguarda la psicoanalisi, ha ugualmente provocato numerose resistenze e resta tutt’ora oggetto di caricature, soprattutto nelle sue rappresentazioni cinematografiche e, più precisamente, in quelle Hollywoodiane.

Questa modalità corrisponde probabilmente alla pratica americana: un fantasma di padronanza, con una parte extra razionale dello psicologo-che-sa-tutto (ad esempio la fantasmagoria del Silenzio degli Innocenti) o ancora lo psicologo ridicolizzato dalla comicità di certe situazioni, come in Terapia e pallottole di Harold Ramis. Ce lo ricordiamo tutti, De Niro impersona un padrino della Mafia con attacchi di panico e crisi di pianto mentre Billy Crystal è uno psichiatra che resta impassibile. Il mafioso consulta l’analista e lo riduce ben presto ad uno stato di impiegato a sua disposizione 24 ore su 24 senza dover utilizzare la pistola. L’analista lo farà parlare di mamma e papà – il complesso di Edipo oblige – per vedere se ha desiderato sua madre, cosa insopportabile in quell’ambiente di virilità all’antica. Molto divertente, sebbene si areni troppo sul caricaturale.

Eppure il cinema può anche contribuire a mantenere il rispetto che si porta alla pratica della psicoanalisi attraverso certi registi, in particolare Hitchcock, Bunuel e Bergman. In Un mondo di marionette, quest’ultimo mostra un analista incaricato di fare da esperto su una strana questione criminale in cui l’inconscio gioca un ruolo. Nonostante il suo utilizzo comico della psicoanalisi, Woody Allen non l’ha mai svalorizzata. In Un’altra donna Gena Rowlands fa vuoto dentro di sé e attorno a sé per ambizione e per paura di amare; viene salvata da “un’altra donna” (Mia Farrow) che ha ascoltato, senza volere, le confidenze fatte da Gena al suo analista. Spiare le sedute d’analisi è nuovamente in gioco nel film Tutti dicono I love you: Woody Allen viene a conoscere tutti i desideri e i gusti personali del personaggio impersonato da Julia Roberts e ci gioca con molto umorismo.

Esiste un va e vieni permanente tra il discorso degli psicoanalisti e quello dei cineasti. Gli uni parlano degli altri e viceversa, continuamente, molto spesso condividendo il vocabolario: proiezione, rappresentazione, campo, immagine…Il cinema offre l’analisi dei personaggi nella cornice della realtà delle relazioni interpersonali, dietro il velo della finzione. La fiction mente per rivelare la verità.

In particolare, negli anni ’40 la psicoanalisi ha nutrito di materiale il cinema americano, dai thriller ai melodrammi passando per i western, come Notte senza fine di Raoul Walsh. Attraverso le storie di vendetta tanto care ai cow boys vengono affrontati i temi della sessualità, dell’erotismo, del desiderio, della rimozione, della castrazione, dei complessi, dei traumi, del narcisismo, dell’onirismo eccetera.

Dal 1926, due discepoli di Freud, Hans Sachs e Carl Abraham, hanno collaborato al film di Pabst I misteri di un’anima, analisi di un caso clinico di gelosia ed impotenza mediante i sogni del soggetto. Freud si era rifiutato di partecipare al progetto, così come aveva rifiutato gli altissimi compensi offerti dagli studi cinematografici hollywoodiani per averlo come consulente nella produzione di alcuni film. Era sua opinione che i concetti psicoanalitici non si prestassero ad un’interpretazione per immagini. L’inconscio, secondo lui, non poteva essere rappresentato da immagini né era possibile illustrare ciò che il transfert rappresenta nella cura. E come poter far figurare in maniera cosciente il lavoro onirico? È possibile paragonare un film a un sogno? Oppure un film ad un fantasma? Un sogno tradotto in immagini cinematografiche avrebbe l’effetto di rimandare lo spettatore alla propria coscienza di spettatore.

Le rappresentazioni di psicoanalisti sul grande schermo sono innumerevoli. Freud è stato impersonato nel 1962 da Montgomery Clift in un film di John Huston: Freud, passioni segrete. Huston voleva rappresentare un Freud avventuriero che scopre la psicoanalisi allo stesso modo di un detective davanti ad un intrigo poliziesco . Il film diventa la storia di un segreto da rivelare, di un’avventura piena di ostacoli con protagonista un esploratore inedito, che comincia con il contenuto teorico di un corso tenuto da Charcot a Parigi, prosegue con l’incontro dell’ipnosi di Breuer a Vienna e infine presenta il caso di Cal von Schlosser e quello di Cecily, una sintesi dei numerosi casi di Freud. I sogni di Freud si fondono con quelli dei suoi pazienti, svelando quindi alcuni aspetti della sua storia personale. Per la sceneggiatura Huston si è rivolto a Sartre che scrive un copione per un film che sarebbe durato sette ore, Il filo rosso. Sollecitato ad accorciarlo, Sartre lo allungherà ulteriormente. Alla fine il suo nome non comparirà nei titoli.

Ritroviamo Montgomery Clift nei panni di uno psicoanalista in All’improvviso l’estate scorsa di Mankiewicz, dove appare a suo agio nell’universo velenoso di Tennessee Williams. Freud viene anche interpretato da Alan Arkin in Sherlock Holmes soluzione sette per cento di Herbert Ross, che gioca sul rapporto tra psicoanalisi e investigazione poliziesca: Holmes consulta Freud dando luogo ad un faccia a faccia tra due investigatori che procedono con gli stessi metodi.

Tutti i film di Hitchcock sono sul registro dell’inchiesta poliziesca, sebbene lui non abbia mai nascosto il suo interesse nei confronti della psicoanalisi, ben manifesto nelle sue produzioni. Ha fatto film d’amore in cui, con riferimento alle teorie freudiane, si trattava sempre di qualcos’altro ovvero una questione di sopravvivenza. Ad esempio, l’atto amoroso rivela sempre un trauma che funge da ostacolo (Io ti salverò, Marnie, Intrigo internazionale, Rebecca-La prima moglie, Gli uccelli, Psyco…).

Hitchcock è il regista che ha saputo illustrare nel modo migliore la psicoanalisi seppur rappresentandone dei casi piuttosto che la teoria. Resta il cineasta più freudiano del mondo, con questa abilità di mostrare l’inconscio e, quindi, la rimozione. Intrigo internazionale è la storia di un uomo che viene scambiato per un altro e va lui stesso in cerca della verità. In Marnie si vede il recupero della memoria dopo un caso di amnesia infantile: un uomo (Sean Connery) si innamora di una cleptomane (Tippi Hedren) e tenta di guarirla dai suoi sintomi. Comincia a fare indagini sulla sua infanzia e lo spettatore assiste ad una cura analitica in cui Sean Connery si trova a ricoprire il ruolo di un “analista perverso” tipicamente hitchcockiano in quanto, grazie a lui, Marnie può rivivere il trauma della sua infanzia …In Io ti salverò Ingrid Bergman à una psicoanalista che vorrebbe guarire l’uomo che ama (Gregory Peck). La coppia va in cerca della verità in una specie di labirinto disseminato di simboli di ogni tipo, perfino la rappresentazione di un sogno di Salvador Dalì.

Ancora, è necessario sottolineare nel cinema la differenza tra psicoanalista e psichiatra.

Nei thriller americani, lo psichiatra è molto spesso anche il cattivo, ciò che evidentemente dice qualcosa sul fantasma del regista. Lo psichiatra diventa allora un personaggio machiavellico, manipolatore che a volte rasenta un personaggio da film horror. Il dottor Mabuse di Fritz Lang adopera poteri ipnotici e malefici per manipolare le masse. Aggiungiamo, ad esempio, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene o il più recente Shutter Island di Martin Scorsese, che presentano degli psichiatri veramente inquietanti. Per quello riguarda la terapia, ne possiamo citare una “bizzarra”, all’americana, in Will Hunting-Genio ribelle di Gus Van Sant. Si tratta della relazione tra un adolescente brillante e ribelle (Matt Damon) ed il suo analista (Robin Williams). Si tratta di un paziente singolare che si rifiuta di rientrare negli schemi. Citiamo anche lo sketch di Soderbergh in Eros in cui l’analista è distratto dall’ascolto del suo paziente sul lettino perché intento nel suo voyeurismo.

Due thriller francesi mettono in scena due analisti che si basano sugli adattamenti dello stesso autore, Jean-Pierre Gattegno, che deve evidentemente fantasticare parecchio su questo tema. Transfert pericoloso di Francis Girod in cui lo psicoanalista (Daniel Auteuil) riceve un paziente (Patrick Timsit) che si autoaccusa dell’assassinio della moglie. Ciò che racconta di seduta in seduta porta l’analista ad indagare per verificare degli indizi e ad imbarcarsi in una strana storia in cui si ritrova colpevole lui stesso. Dello stesso autore Mortal Transfert, realizzato da Jean-Jacques Beineix, è un altro thriller con Jean-Hugues Anglade che interpreta uno psicoanalista che si assopisce mentre ascolta una paziente. Al risveglio, la trova strangolata sul lettino. Come fare per sbarazzarsi del cadavere? Tutto pare accusarlo!

In Kennedy et moi di Sam Karman, Jean-Pierre Bacri incarna il solito personaggio burbero e misantropo che lo rende comico. Tenta di impossessarsi dell’orologio del suo analista quando viene a sapere che era quello che Kennedy aveva al polso al momento del suo assassinio.

Il grande cocomero di Francesca Archibugi ha avuto molto successo in Italia. Il film ruota attorno all’importanza del transfert: una ragazzina ammessa in un servizio psichiatrico di Roma si risveglia al mondo esterno grazie ad un terapeuta a cui si affeziona (Sergio Castellitto).

In Histoire de Paul, René Féret offre testimonianza della tristezza e della monotonia dell’internamento psichiatrico, simbolo di una prigione esistenziale. La realtà ha nuovamente alimentato la finzione in La place d’un autre, dove spiega esplicitamente le ragioni del suo ricovero in un ospedale psichiatrico in seguito ad un tentativo di suicidio.

Ci sono film con “falsi psicologi”, personaggi che si trovano ad occupare questa posizione per casualità. Una commedia di Chantal Akerman Un divano a New York, gioca su uno scambio di appartamento tra un’artista behemienne (Juliette Binoche) che vive nel quartiere di Ménilmontat a Parigi e uno psicoanalista, maniacale e stantio (William Hurt), che abita nel quartiere più chic di New York. In un certo modo si scambiano molte cose delle loro vite, penetrando l’uno nell’universo dell’altra. I pazienti dell’analista arrivano alla loro seduta e si stendono sul divano come al solito senza tener conto di chi li ascolta. Ecco che il lettino fa il trucco, dimostrando che l’analista è un indirizzo e un dispositivo. É il “soggetto supposto sapere” diceva Lacan. Ovviamente questo malinteso non può durare a lungo . Chantal Akerman offre uno sguardo divertito sulla psicoanalisi: un’amica insegna a Juliette Binoche a pronunciare il famoso “siiii” coi puntini di sospensione! Intanto in Confidenze troppo intime di Patrice Leconte, Sandrine Bonnaire sbaglia la porta dell’analista e si va a sdraiare sul divano di un consulente fiscale (Fabrice Luchini) per raccontargli dei suoi doveri coniugali…Siamo davvero nella fiction.

Al cinema, lo psicoanalista che appare come più verosimile, più autentico, è interpretato da Nanni Moretti nel suo film La stanza del figlio. Sceglie questo ruolo emblematico in una situazione di sofferenza insormontabile in cui l’analista viene al corrente di aver perso un figlio. La psicoanalisi non viene rappresentata in modo caricaturale durante la scena della seduta: l’analista non riesce a portare avanti un ascolto attivo dei suoi pazienti. Sospende la sua attività perché si sente troppo indifeso e impotente per offrire aiuto agli altri e arriva a perdere il controllo davanti ad un paziente i cui problemi gli sembrano ridicoli rispetto alla sua sofferenza. Il film mostra uno dei limiti della psicoanalisi: la morte del figlio – e dunque il proprio dolore – riduce a zero la sua empatia e la capacità d’ascolto.

Per la televisione, Benoît Jacquot ha realizzato Mare Bonaparte con Catherine Deneuve che interpreta il personaggio del titolo, paziente e poi discepola di Freud (Heinz Bennent) che viene consultato per un problema di frigidità. Ha avuto un ruolo fondatore nel movimento psicoanalitico francese. Senza il trattamento Hollywoodiano che impressiona con colpi di scena spettacolari ma con una giusta evocazione dell’inconscio, questo telefilm è riuscito piuttosto bene a recepire il processo analitico che resta comunque impossibile da trasmettere. Benoît Jacquot ha inoltre realizzato Il settimo cielo in cui Sandrine Kiberlan è una cleptomane che sviene continuamente. Un ipnotizzatore (François Berléand) a cui si rivolge finisce per seguirla come un’ombra. A meno che non si tratti del suo inconscio.

Nel cinema americano gli analisti sono spesso esagerati – a prescindere dalla qualità del film – utilizzati come strumento drammatico. In Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman oppure in Arancia meccanica di Stanley Kubrick, Equus di Sidney Lumet, La fossa dei serpenti di Anatole Litvak, Il corridoio della paura di Samuel Fuller: i metodi descritti sono estremi su diversi livelli. Si tratta di psichiatri, e dunque di trattamenti della malattia mentale con strumenti quali lobotomie, elettroshock eccetera… Siamo ben lontani dall’atteggiamento di ascolto e dialettica con il paziente.

Il post ’68 ha prodotto qualche film sull’anti-psichiatria, tra cui Family life di Ken Loach (una ragazzina diventa muta in seguito ad un aborto che le impongono i suoi genitori) oppure Matti da slegare sulla necessità di aprire gli ospedali psichiatrici tra cui quello di Colorno. Marco Bellocchio lo ha realizzato in collaborazione con lo psichiatra Franco Basaglia per mostrare le criticità del sistema sanitario nazionale in Italia. Bellocchio ha spesso parlato della “follia” – o ciò che viene considerata tale – nei suoi film, fin da I pugni in tasca con la distruzione di una famiglia borghese in cui proliferano malattie ereditarie e rancori velenosi. Protagonista ancora la follia in Salto nel vuoto e nella scena del manicomio in Vincere.

Vediamo allora che il cinema e la psicoanalisi fanno parte della stessa storia. Restano le due grandi figure dell’esplorazione del sogno e dell’immagine.

Ne “L’interpretazione dei sogni” Freud descrive i fantasmi che hanno nutrito le scene di numerosi registi, soprattutto nell’ambito del cinema fantastico.

Articolo di Caroline Boudet-Lefort apparso sul sito Altritaliani.net il 6 gennaio 2012.

Tradotto dal francese dalla dott.ssa Gloria Barioni

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