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Gli scheletri dell’artista

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Si ascoltano molte volte poeti, scrittori, pittori, musicisti dichiarare che vogliono tenersi stretto il proprio malessere. Credono che un percorso terapeutico possa far perdere loro ogni slancio creativo o in qualche modo affievolirlo.

Comunemente si ritene che dolore e produzione artistica siano indissolubilmente legate.

La clinica però ci insegna, con precisione, che i momenti in cui la sofferenza prende il sopravvento anche gli artisti più fecondi non riescono a generare nulla. Ci mostra altresì che non tutte le persone che soffrono sono in grado di essere creative.

Cosa c’è dunque di vero in questa diceria piuttosto comune? 

Dobbiamo prendere tutta questa questione da una prospettiva diversa, partendo cioè dal rapporto tra dolore e morte piuttosto che tra dolore e creatività.

I dolori umani sono molteplici e diversi, alcuni hanno a che fare con l’abbandono, altri con la solitudine, alcuni con la violenza, taluni con la perdita, altri ancora però hanno a che fare con la morte. 

I bambini, si sa, vengono mediati alla vita dagli adulti, da cui apprendono le regole per stare al mondo.

In questa mediazione possono incontrare nel loro Atro un tratto mortificante, assassinante. Per un istante incontrano il desiderio inconscio di qualcuno che li vuole morti. Non è esclusivamente una questione legata all’ aggressività, ci sono molteplici motivi inconsci per avere questo inconfessabile desiderio verso il proprio bambino. La morte spesso è paradossalmente rassicurante, pacificante, attrattiva.

Questi bambini incontrano dunque, molto presto, l’indicibile. Sappiamo benissimo però che non si può davvero toccare la morte non si può guardarla da vicino, la si può percepire solo come assenza, vuoto, buco.

Certi sintomi infantili mostrano chiaramente le tracce di tutto questo: la paura del buio, dei mostri, il timore verso alcuni tipi di cibi, le apnee…

Se parlate con i bambini vi accorgerete che alcuni più di altri hanno paura di morire, di essere uccisi, hanno fantasie che riguardano i fantasmi l’ Aldilà, le anime, le vite precedenti. Sono proprio quei bambini che hanno trovato questo tratto nel loro Altro: genitori in lutto, genitori con aggressività esplosive, genitori legati a persone che non esistono più nelle loro vite, genitori lontani dalla amata terra d’origine, genitori che a loro volta hanno incontrato questo desiderio negli occhi dei propri genitori…

Incontrare la morte è molto angosciante a qualunque età, incontrarla all’ inizio della propria esistenza, è indubbiamente eccessivo.

Proprio da questo eccesso nasce la creatività: i bambini per sopportarlo, per non esserne atterriti, per provare a farci qualcosa inventano, creano. In qualche modo possiamo dire che creare è risorgere, togliersi dalla posizione mortifera in cui ci si sente messi dall’ Altro. Produrre è un modo per entrare e uscire continuamente dal vuoto. La creatività è saperci fare con la morte: bordarla, coprirla, esaltarla, abbellirla, velarla.

Capiamoci meglio: tutti gli esseri umani hanno a che fare con la morte, ma solo alcuni, per un’istante la toccano. Se non la si tocca si può trascorrere la vita tentando di tenerla lontana, controllarla, gestirla.

Torniamo ai giochi dei bambini prendendo due esempi piuttosto comuni: alcuni amano fare i puzzle, altri adorano inventare storie con i pupazzi. I primi controllano, non perdono, gestiscono, i secondi creano, generano. I primi tengono lontana la morte, i secondi l’hanno già toccata e provano a farci qualcosa.

Creare è un movimento continuo tra l’indugiare e l’allontanarsi dalla morte, morire e risorgere.

Creare è un’ esigenza, una necessità, creare è l’ urgenza di non sostare troppo a lungo nella morte.

Non è questa spinta vitale che una psicoanalisi può “curare”, non è questo incontro con il desiderio mortifero dell’ Altro che la psicoanalisi può in alcun modo eliminare.

L’incontro rimane e l’esigenza di resurrezione che ne scaturisce anche.

La psicoanalisi può liberare il soggetto dalle sofferenze che quell’incontro porta con se, può aiutare il soggetto a riconoscere i momenti in cui dice di si al desiderio dell’ Altro e muore a se stesso, soffre, si ammala, non crea, si fa del male. L’inibizione ad esempio, il timore di emergere, la paura di essere uccisi per il proprio talento o di morire dopo un successo, L’angoscia di disturbare con la propria fama le persone che si hanno accanto. Tante volte le persone creative si trovano intrappolate in questa continua tensione tra l’esigenza vitale di produrre e l’immobilità mortifera causata dal timore che tanta vitalità possa disturbare gli altri, possa essere fonte di invidia e di distruzione. Il timore che essere vivi possa farli uccidere. Gli artisti incontrano continuamente ciò che hanno toccato con mano da piccoli: sono stati desiderati morti dal’ Altro. L’inibizione all’esposizione della propria opera spesso copre questo timore inconscio di venire ammazzati dall’ Altro. Esporsi e morire, risorgere e poi tornare nuovamente nel vuoto.

La psicoanalisi aiuta a uscire da questo tipo di dolore, da questa fatica che tante volte schiaccia e inibisce la produzione. Gli artisti conoscono bene i loro momenti di vuoto creativo o i loro tentativi di boicottarsi, sono proprio i le occasioni in cui sono intrappolati dal desiderio che hanno letto nel loro Altro: meglio morti che vivi. Tenersi lontani da un percorso di cura è nell’ ordine della ripetizione: il timore di essere spenti, la paura che l’analista distrugga il nostro lato vitale, creativo, che anche lui dunque ci voglia morti. Creare è generare da soli, è una produzione che non necessita dell’ Altro, anzi lo esclude. La psicoanalisi per esistere invece necessita che l’Altro sia presente all’ interno della relazione.

Il timore di perdere la creatività nasconde dunque questa paura più profonda di entrare in uno scambio con qualcuno che si teme possa essere mortificante. Non è il dolore dunque a rendere creativi, non è la sofferenza a mantenere viva la produzione artistica, è l’incontro con il desiderio dell’ Altro. L’ artista risorge ogni volta che inventa la sua opera, vincendo la morte da cui si trova braccato ed assicurandosi la vita eterna con la sua fama.

Al di là del principio dell’amore

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Martedì 28 aprile, presso il Centro Studi Donati, si è tenuto “Al di là del principio dell’amore“, un evento in cui psicoanalisi e musica si sono incontrate per parlare della violenza nei confronti delle donne all’interno dei legami d’amore. Dopo un reading musicale sulla vita di Billie Holiday (Mariangelacofone.com) e l’intervento sull’amore e la violenza della dott.ssa Claudia Rubini, psicoterapeuta di Dedalus, un interessato pubblico di giovani donne e giovani uomini ha dato vita a un acceso e lungo scambio di domande e riflessioni. L’interesse di capire, di approfondire, di andare oltre l’apparenza ha animato la sala.
Domande profonde e precise.
Domande e riflessioni che hanno toccato le differenze tra maschile e femminile, interrogato il “segreto” dell’essere donna, la percezione della violenza e il suo rapporto con l’amore.
Ma anche, quale ruolo possono avere gli amici quando si accorgono di situazioni di sofferenza e violenza?
E, infine, tanta curiosità e interesse nei confronti della psicoanalisi: da come può prodursi una domanda di cura psicoanalitica a come può arrestarsi la spinta della “coazione a ripetere” all’interno di un trattamento.
Di seguito alcune foto di questa intensa e ricca serata.

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