Gli psicoanalisti statunitensi si scusano per aver etichettato l’omosessualità come una malattia
L’Associazione Psicoanalitica Americana (APsaA) lo scorso venerdì si è scusata pubblicamente per avere, in precedenza, trattato l’omosessualità come una malattia mentale, dichiarando che gli errori commessi in passato hanno contribuito a discriminazione e trauma per gli individui LGBTQ.
Si tratta della prima organizzazione medica o della salute mentale americana a chiedere pubblicamente scusa.
Sebbene gli psichiatri abbiano declassificato l’omosessualità come una malattia nel 1973 e sebbene gli psicoanalisti li abbiano seguiti vent’anni dopo, l’APsaA ritiene che non ci siano altri gruppi di professionisti della salute che si siano scusati pubblicamente. “È da troppo tempo che si avrebbe dovuto riconoscere gli errori del passato e ci si sarebbe dovuti scusare per il nostro ruolo nella discriminazione e nel trauma provocato dalla nostra professione, avremmo dovuto da tempo chiedere “scusa”, ha dichiarato il Dott. Lee Jaffe, presidente di APsaA. Il gruppo utilizza questa abbreviazione per distinguersi dalla Associazione Psichiatrica Americana (APA).
Jaffe ha fatto l’annuncio delle scuse formali venerdì scorso nella sessione di apertura del centonovesimo incontro annuale del gruppo, a San Diego, provocando una standing ovation di circa duecento persone presenti, hanno dichiarato alcuni testimoni. Jaffe sostiene che il suo gruppo è da tempo molto attivo nel promuovere i diritti LGBTQ, tuttavia non aveva mai formulato parole di contrizione.
“È difficile ammettere di aver sbagliato” ha detto Jaffe.
Uno psicoanalista di Los Angeles ha dichiarato che il pubblico ha vissuto questo momento in modo significativo.
“Da parte di qualcuno che viene da una lunga tradizione di psicoanalisti che hanno combattuto per le persone LGBT, questo momento ha segnato una svolta” ha dichiarato il Dott. Justin Shubert.
I MOTI DI STONEWALL
Sia il cambio di posizione sull’omosessualità della comunità medica sia le scuse di venerdì scorso derivano da un evento fondamentale nella storia della comunità LGBTQ avvenuto cinquant’anni fa: i moti di Stonewall.
I frequentatori di un locale gay di New York City chiamato Stonewall Inn si ribellarono ad una retata della polizia avvenuta nelle prime ore del mattino del 28 giugno 1969, scatenando l’inizio del moderno movimento per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer.
La polizia di New York si è recentemente scusata per la retata e per le leggi discriminatorie di quell’epoca, fatto che ha immediatamente portato l’APsaA a fornire le proprie scuse, ha dichiarato il Dott. Jack Drescher, membro di APsaA ed autorità principale nella storia del trattamento psichiatrico e psicologico dei soggetti LGBTQ.
New York si aspetta di ospitare fino a quattro milioni di persone per il cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall e ci sarà una parata mondiale per il gay Pride il 30 Giugno.
Gli attivisti LGBTQ interruppero l’incontro annuale dell’Associazione Psichiatrica Americana tenutasi a San Francisco nel 1970. Le proteste stravolsero la conferenza a tal punto, dice Drescher, che nel dicembre 1973 la commissione dell’APA decise di rimuovere l’omosessualità dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
Tuttavia l’APsaA non modificò la sua posizione fino al 1991 quando, sotto la minaccia di essere denunciati per discriminazione, acconsentirono alla formazione di psicoanalisti omosessuali, dichiara Drescher.
L’APsaA divenne poi uno dei primi sostenitori dei matrimoni omosessuali e un oppositore della “terapia di conversione” finalizzata a modificare l’orientamento sessuale dei soggetti.
Nel 2012 lo psichiatra Dott. Robert Spitzer spontaneamente si è scusato per un’autorevole ricerca da lui condotta undici anni prima che sosteneva la terapia riparativa come “cura” dell’omosessualità.
Oggi l’APsaA, assieme ad altre organizzazioni professionali, considera l’omosessualità una variante normale della sessualità umana, ma fino ad ora non si era mai espressa sugli errori del passato, dichiara Drescher.
“Si erano scusati con i fatti ma non con le parole”, dice Drescher, “Se ci è riuscito il capo della polizia di New York City, perché non fare anche noi la nostra parte?”.
Articolo di Daniel Trotta pubblicato su www.reuters.com il 21 Giugno 2019. Tradotto dall’inglese dalla dott.ssa Gloria Barioni