“Genitori Informati”, conferenza a Cervia del 22 Febbraio 2017
Bullismo/cyberbullismo
Di giovani ne ascoltiamo tanti e di età diversa e molto spesso accade raccontino che, in passato o nel presente, hanno sofferto di episodi di bullismo/cyberbullismo. Pochissime volte è accaduto che un soggetto venisse da noi in terapia dicendo di essere un bullo o un cyberbullo e che questo fosse motivo di sofferenza. Il fenomeno, preso dalla parte del bullo, apparentemente non provoca disagio, non isola, non fa sentire il ragazzo o la ragazza triste, depressa.
Anzi, possiamo dire che essere un bullo è quasi una soluzione. Diventi leader di un gruppo, ti senti forte, gli altri ti seguono, ti spalleggiano, preferiscono stare dalla tua parte piuttosto che essere presi in giro. Partiamo da una prima domanda: essere un bullo è una possibile soluzione a cosa? Alle sofferenze che il ragazzo prova. Per esempio, andando nelle classi, alla domanda chi è il bullo e chi è la vittima, sempre, e dico sempre, i ragazzi alzano la mano. Non è qualcosa di cui ci si vergogni, non è qualcosa di segreto nel gruppo dei pari.
Si sa sempre nel gruppo chi è il bullo e chi è la vittima. Nell’età dei vostri ragazzi, l’adolescenza, periodo in cui il giovane comincia a cambiare sul corpo, a non essere più il vostro bambino/a che vestivate, che ascoltava ogni vostro consiglio o rimprovero, inizia a farsi le proprie idee sul mondo, a desiderare di separarsi un po’ dalla parola dei genitori e allora, proprio in questo periodo, così nuovo e difficile, il gruppo dei pari diventa fondamentale.
Si ascoltano gli amici, non i genitori, ci si veste come gli altri, si parla tutti nello stesso modo e si inizia a mettere una distanza dagli adulti che non capiscono il loro linguaggio, la loro musica, i loro interessi. I genitori, in qualche modo, durante l’infanzia dei propri figli, si preparano ad affrontare gli anni difficili dell’adolescenza, in cui il proprio figlio/a cambia odore, non vi guarda più con gli stessi occhi, è limitato negli abbracci, sta chiuso in camera.
Le identificazioni
Dicevo, in questo periodo, il branco, il gruppo diventa fondamentale per l’adolescente. Per stare dentro, ognuno deve trovare il proprio posto, un ruolo. È necessario che ogni soggetto abbia, per così dire, un vestito da indossare, un ruolo, quelle che in psicoanalisi si chiamano identificazioni.
Per intenderci, uno può essere definito lo sportivo, la secchiona, la bella, e anche, appunto, il bullo o lo sfigato, il mostro e quindi la vittima. La prima questione è proprio questa: il bullo o la vittima sono delle maschere, delle identificazioni, sono il vestito che un soggetto sceglie di indossare per andare in giro per il mondo. Attenzione, ho usato, non a caso, la parola scegliere, perché mi rendo conto che è difficile da comprendere, ma essere un bullo o una vittima è una scelta per stare al mondo.
Ti permette di avere un posto, dice qualcosa di te: per esempio che sei uno forte, che non si fa fregare, che ha sempre la risposta pronta oppure che sei un debole, una pappamolla o che sei grasso, timido, troppo piccolo e cosi via.
Non sono gli unici ruoli possibili perché non tutti i ragazzi scelgono di essere bulli o vittime. Ma in queste identificazioni emergono delle caratteristiche che ci danno un nome, magari non ci piace, ci fa soffrire ma comunque sempre meglio di non essere nulla.
Due facce della stessa medaglia
Prima dicevo che essere un bullo è una possibile soluzione ad una sofferenza. Il ragazzo decide di prendere in giro gli altri, di essere un prepotente perché magari non sa come affrontare il proprio disagio: genitori che non lo ascoltano, fratelli che lo escludono o lo prendono in giro, dolori dovuti all’accettazione della separazione dei propri genitori e allora, per reazione, perché ogni soggetto ad un dolore reagisce in un modo diverso, scelgono di affrontare l’angoscia mettendola sugli altri, su qualcuno che apparentemente si presta a tutto questo, qualcuno che mostra molto più apertamente la propria debolezza, sia per caratteristiche fisiche o altro.
Quindi possiamo già iniziare a dire che bullo e vittima non sono poi così diversi, anzi sono due facce della stessa medaglia, in altre parole, soffrono entrambi. Il bullo non agisce da solo ma ha bisogno di un gruppo, di amici che guardano, che aiutano il bullo e che lo seguono. Il bullo, senza gruppo, non ha senso di esistere. Le prese in giro non avvengono uno ad uno, l’accanimento contro qualcuno è sempre da parte di più ragazzi guidati da un leader, appunto il bullo.
I luoghi del bullismo e del cyberbullismo
Tutto questo avviene nei luoghi che frequentano i ragazzi: scuola, palestra, piazza del paese e così via. Questo non è un fenomeno nuovo, c’è sempre stato. In passato, però, un ragazzo veniva preso in giro a scuola e, tornato a casa, le prese in giro finivano almeno fino al giorno successivo perché non c’erano il cellulare, internet, i social.
Ora, invece, con le nuove tecnologie, tutto questo non ha mai fine sia per il bullo che per la vittima, quello che avviene faccia a faccia può continuare tutto il tempo su internet. Allora è stata coniata la parola cyberbullismo. Il fenomeno è maggiormente insidioso perché su internet, con i social come facebook, o su whatsapp, il cyberbullo e, di conseguenza, il gruppo, non hanno limiti, accanendosi maggiormente sulle vittime, senza toccare il corpo reale ma con le parole, con le immagini.
L’accanimento avviene ininterrottamente, ad ogni ora della notte e del giorno, senza mai una pausa, un silenzio, senza uno spazio vuoto che possa permettere al gruppo del bullo o alle vittime di simbolizzare quello che accade, di avere a che fare con la propria angoscia in altro modo.
Per il bullo, lo spazio di vuoto, d’interruzione, servirebbe per fermarsi ma è proprio quello che non vuole perché comporterebbe avere a che fare con i suoi dolori, quelli che lo fanno soffrire realmente, e per la vittima per avere una tregua dall’angoscia di occupare solo il posto dell’oggetto umiliato e mortificato.
Il peso delle parole
Ora vorrei farvi vedere un video per mostrarvi un po’ di più un esempio di quello di cui sto parlando. È realizzato da Mtv, canale visto e seguito dai ragazzi, a mio parere molto istruttivo.
Ecco, qui racconta molto bene quello di cui vi sto parlando. Le prese in giro, in questo caso su Gaetano, definito uno sfigato con gli occhiali spessi, continuano anche su internet, con l’amplificazione dell’esclusione.
I ragazzi fanno uno scherzo e con il loro cellulare filmano la presa in giro, aprono una pagina contro di lui raggiungendo molte più persone. Il povero Gaetano, oltre ad essere preso in giro dalla sua classe, diventa diciamo “popolare” anche sui social e raggiunge molte più persone della sua scuola che si accaniscono su di lui. Tutto questo, è banale dirlo, ma può avere degli effetti devastanti sulla vittima. Ma cosa notate in questo video?
Non c’è la presenza o il riferimento ad un adulto. Tutto è avvenuto tra ragazzi della sua classe e continuato su internet, dove non si percepiscono i limiti, aprendo pagine contro qualcuno senza essere facilmente beccati, facendola franca con i genitori, gli insegnanti e anche con la legge. Perché spesso i ragazzi pensano che su internet, sulle chat, si possa dire e fare tutto, senza conseguenze.
Spesso i ragazzi che ascoltiamo raccontano che su whatsapp si sentono più liberi di dire tutto perché lì le parole perdono d’importanza, perché non ci si mette la faccia e allora si può essere maggiormente senza limiti sia nel bene che nel male. Ma le parole hanno, comunque, un peso anche se non vengono dette di persona e possono essere, come dice Samuele Bersani, dei sassi.
Il rapporto delle ragazze con la propria immagine
Vi faccio vedere un altro video.
Qui sono più chiare sia l’ingenuità che la responsabilità della vittima. Inizialmente, nel video, c’è la parola di un adulto: “Vai in giro per il mondo facendoti i fatti tuoi, invisibile”. La ragazza poi si innamora e può accadere, essendo cambiati i tempi, che questo venga in qualche modo accompagnato dall’uso del cellulare e dalla condivisione di foto.
La ragazza, ad un certo punto, si perde e si sente cambiata anche sul corpo, non capendone il motivo. In qualche modo si scontra con due immagini: la sua, quella della ragazza invisibile e quella invece che vedono tutti a causa appunto di un’immagine diversa che voleva condividere solo con il suo Marco; diventa visibile a tutti, con le conseguenze che il video spiega molto bene.
Da lì, volente o nolente, la sua immagine cambia agli occhi degli altri e lei, come racconta, con quella non si ritrova, andando in giro successivamente sempre con il cappotto. Questo, nell’età dei vostri figli e soprattutto figlie, può accadere, perché sotto questo aspetto le ragazze hanno molto più a che fare con il rapporto con la loro immagine che cambia e mostra le forme e di conseguenza con questo devono farci i conti.
Fanno varie prove con questo corpo, sia per piacersi sia per piacere ai ragazzi. Perché l’adolescenza è anche il periodo in cui emergono le prime pulsioni sessuali e ci si apre al mondo, anche a quello dell’amore. In questo difficile momento di cambiamento sul corpo, le ragazze fanno molte più prove d’immagine rispetto ai maschi.
Si fanno delle foto e pubblicano sui social delle immagini che non sempre corrispondono loro, osando molto di più perché nella realtà si fa più fatica in adolescenza a giocarsi qualcosa del proprio corpo per il timore di essere prese in giro o di non trovarsi a proprio agio con una maglietta più stretta o un jeans più attillato. Internet permette illusoriamente di poter giocarsi qualcosa della propria immagine senza mettersi in pericolo.
Tutto questo, a volte, può avere delle conseguenze sia perché vengono condivisi da altri senza il permesso sia perché poi la ragazza che ha osato non si ritrova con l’immagine visibile a tutti, rimanendo incastrata, per esempio, come in questo caso, tra la ragazza visibile senza vestiti e la ragazza invisibile che invisibile non è più ma è costretta ad andare in giro con il cappotto.
I genitori
Torniamo ai genitori, agli adulti. I ragazzi provocano o subiscono sofferenza e l’adulto è tagliato fuori, non sa nulla. I ragazzi non si confidano, hanno paura, come dicono loro, di “fare la spia” e di conseguenza, di rischiare che aumentino le prese in giro.
Cercano di risolversela da soli, sperando che possa finire o che il bullo o il cyberbullo si stanchi e decida di passare ad un’altra vittima. È un fenomeno molto omertoso che avviene, appunto, fuori dallo sguardo dell’adulto. Anche perché su internet non c’è il corpo reale, i ragazzi non arrivano a casa con un occhio nero o con dei graffi, con qualcosa che si vede, è tutto filtrato e protetto dalla rete.
Da questo punto di vista, quando durante le sedute con uno psicologo in Dedalus ascoltiamo i genitori, raccontano sempre che all’inzio non si erano accorti di nulla, anzi, in qualche modo erano tranquilli, perché il proprio figlio era a casa, protetto, su internet non incorreva nei rischi della droga, dei cattivi incontri e così via. Di solito, il genitore chiede aiuto quando la situazione esplode, quando in qualche modo diventa visibile.
Allora iniziano gli insuccessi scolastici ai quali non si riesce a dare una spiegazione, essendo il figlio/a sempre andato bene a scuola. Oppure il figlio/a si isola, non vuole più fare sport, andare a scuola e si rifugia in camera stando sempre su internet, perché in rete si trova sia l’accanimento delle prese in giro che avvengono a scuola sia la soluzione a tutto questo, trovando gruppi di amici virtuali che hanno lo stesso problema, confidandosi e consolandosi a vicenda, perdendo lentamente ogni contatto con la vita reale e facendo diventare quella l’unica vita possibile.
Allora lì arrivano i genitori spaventati dal figlio che passa troppe ore sul computer, non mangia più, non dorme più, chattando tutta la notte o giocando on line per moltissime ore. O ancora, altro fenomeno molto diffuso tra i ragazzi è quello di farsi del male. Dicevamo, le prese in giro vengono amplificate on line, dove non c’è il corpo ma solo le parole, le ingiurie fanno male e il dolore però si manifesta sul corpo reale, passando talvolta non dalle parole ma dai tagli inflitti sulle proprie braccia, gambe.
Il taglio serve per dare un posto alla sofferenza diffusa che il ragazzo prova ma di cui non riesce a parlare. Localizzandolo sul corpo per il tempo del taglio, il ragazzo sostituisce al dolore a cui non riesce a dare un nome una ferita che si vede.
La parola ai genitori
Non vorrei riempire tutto il tempo parlando solo io, ma vorrei ascoltare anche voi, se avete domande, curiosità, qualcosa da chiedere e riflettere insieme su tutto questo.
Domanda: “Come possiamo noi genitori capire che nostro figlio sta soffrendo, in modo da arrivare prima che la situazione sia già esplosa?”
Risposta: “Purtroppo non esiste un manuale per questo e non ci sono indicazioni che posso darvi. Quello che mi sento, però, di dirvi è di ascoltare i vostri figli e di provare a dare loro l’esempio. Fate vedere loro che ci sono cose nella vita reale che vi appassionano, che avete amore per vostro marito/moglie, per il vostro lavoro o per un vostro hobby. E soprattutto ascoltateli e siateci, anche quando vi sbattono la porta in faccia e smettono di essere i vostri bambini”
Una mamma racconta la storia di suo figlio G.: “Mio figlio è proprio uno di quei ragazzi con gli occhiali spessi descritti dal video di Mtv mostrato dalla terapeuta. Però lui è stato fortunato, perché ha incontrato degli amici che scherzano con lui dei suoi fondi di bottiglia, e non di lui. Sono d’accordo con la dottoressa, ricordo anche io bene cosa significa essere adolescente e trovarsi a scegliere quale vestito, quale maschera indossare.
Alcune ti vengono messe addosso, altre le accetti, molte le eviti. Io e mio marito parliamo e abbiamo parlato spesso di G., ormai diciottenne, e di come comportarci con lui. Credo che l’unico modo possibile sia l’ascolto e insegnare, a parole ma anche con l’esempio, che nessuna delle maschere è definitiva e unica, ma che volendo la si può cambiare e essere quello che si vuole”
Domanda: “Come facciamo noi genitori a gestire il mondo dei social, a proteggere i nostri figli dato che nelle classi dei nostri ragazzi tutti possiedono uno smartphone?”“
Per alcuni bisognerebbe impedire totalmente l’accesso ai social, escludendo i ragazzi dall’uso di internet.
Risposta: “Io non credo che impedire ai ragazzini di usare internet sia una via corretta, né percorribile. A prescindere dalle scelte educative di ogni famiglia, le nuove tecnologie sono come la televisione di un tempo, sono mezzi che esistono e che dobbiamo imparare a gestire. Avere un momento della giornata in cui ci si rilassa danti alla televisione o in cui si usano i social network non è necessariamente negativo se fatto in modo consapevole”.