In quante persone, sia prima che dopo questo epocale Modena Park, hanno domandato: cosa ci trovate in quest’uomo che canta solo ehhhhh?
Perché per voi Vasco è un mito?
Perché fate tutte quelle pazzie pur di andare a vedere questo drogato dissipato?
Sudati e stanchi, alle 4 di mattina, seduti per le strade di Modena, ce lo domandavamo con un paio di colleghe: perché proprio lui, a differenza di tantissimi altri bravi cantanti, fa questo effetto alla gente?
Perché la chiacchierata combriccola dei 225mila non ha distrutto Modena? Non ha creato tafferugli? Non ha creato scompigli? Non ha dato scandalo?
Ieri, mentre raccontavo a mio marito, forse per la centesima volta, Modena Park , lui ( che di mestiere NON fa lo psicoanalista) mi ha detto: avete un transfert psicotico per lui.
Queste parole mi hanno improvvisamente portato alla mente un concerto di un altro cantante ( di cui non farò il nome) che, qualche tempo fa, era tanto impegnato ad interagire col pubblico: su le mani, giù le mani, tutti insieme, ripetete con me, ripetete dopo di me…
Questo è un buon esempio di “transfert psicotico”: fare ciò che l’altro, che si trova, per qualche ragione, in una situazione di “potere” e di “superiorità”, domanda.
Ai concerti di Vasco questo non succede mai. Vasco non mette mai il microfono verso il pubblico per farlo cantare, non domanda mai di fare un gesto piuttosto che un altro. Il pubblico però lo fa, all’unisono, sempre. (Per quelli che amano la precisione: a Modena Park ha domandato di fare dei gesti sulle note di “Non mi va” ma li era chiara l’ironia).
Nei giorni che hanno preceduto Modena Park, Vasco non ha mai chiesto niente a chi stava per andarlo a vedere, non ha mai domandato di comportarsi bene, di fargli fare bella figura con Modena e col mondo, non ha fatto nessuna raccomandazione, nonostante conosca bene i suoi “soliti”.
I suoi 225mila però, sanno che quella è la sua occasione, la sua festa e non gliela rovinano: non ho mai visto persone tanto educate tutte insieme.
I Concerti di Vasco sono pieni di rituali e tradizioni, non solo quelli che lui ha creato per il pubblico ma che il pubblico ha creato per lui e che rimangono immutati nel tempo.
Le persone cantano continuamente e sanno con quali lalala eeeeeehhh oooooohhhh accompagnare la parte strumentale, con quali gesti sottolineare certe parole e in quale momento alzare le mani al cielo.
Sanno che Vasco sbaglierà Canzone perché lo emoziona cantarla tutta e sanno che sparirá mentre la band continuerà a suonare Albachiara. Sanno che sarà così, sempre, ogni volta che ci andranno.
Come si chiama in analisi tutto questo? Transfert.
Cos’è il transfert: è credere che qualcuno sappia qualcosa che tu non sai e per questo amarlo.
Come ci ricorda una celebre frase di Lacan nel seminario XX “colui cui suppongo il sapere io amo”.
Amare è diverso dal piacere, come la lingua italiana ci ricorda. Qualcuno ci può piacere moltissimo ma possiamo non amarlo, possiamo non credere dunque che possegga un qualcosa in più, quel “quid”, quel “sapere”.
Ma sapere su cosa?
In analisi si suppone che l’analista verso cui si installa un transfert ( condizione prima perché possa avvenire un lavoro d’analisi) abbia un sapere su di noi, sulla nostra vita, sulla nostra esistenza. Quante volte lo sentiamo dire dai pazienti: secondo me lei ha già capito tutto! Perché me lo domanda se lo sa già? Me lo dica lei che conosce la risposta. Frasi che indicano un movimento transferale nei confronti del terapeuta. Il terapeuta si suppone che sappia.
Quando ci troviamo davanti al transfert per Vasco dunque che sapere gli suppone il suo pubblico?
Un sapere sulla vita. Un sapere sull’orrore della vita. Per parafrasare Freud: un saperci fare con lo schifo della vita, col dolore della vita, senza impazzire (del tutto) e senza suicidarsi ( del tutto).
Lui sa come si fa, nonostante tutto, a stare in piedi in questa vita che è così complicata.
Questo suppongono che sappia e per questo lo interpretano, si occupano di quello che lui desidera, interrogano ad ogni concerto la sua domanda che suppongono faccia a loro.
Ogni volta che il suo popolo lo incontra si chiede: cosa vuoi da noi?
È per questo che al Modena Park è andato così impeccabilmente bene, perché hanno supposto che questo fosse il suo desiderio. Facciamogli vedere chi siamo! Facciamogli vedere cosa sappiamo fare, quanto sappiamo essere seri.
Ogni analizzante, se si trova preso dal transfert, interpreta del suo analista ogni piccolo gesto. Perché nel transfert il soggetto in analisi ripone la sua più grande domanda: Altro cosa vuoi da me? Come mi vuoi? Cosa posso fare perché tu sia fiero di me? Perché tu mi voglia bene?
La differenza fra un cantante che piace e un cantante che diventa un mito.
Proprio mentre scrivo queste due considerazioni leggo l’unica frase che Vasco ha postato, oggi, dopo Modena Park.
“Sono orgoglioso e fiero di voi.. siete i più belli..!! 225.000 volte grazie !!!”
Ha risposto. Alla domanda silenziosa che il suo pubblico gli faceva, nascosta dalle urla, dalle note stonate e dalla stanchezza delle ore in piedi: Sei orgoglioso di noi?
È questo che fa la differenza fra un cantante che piace e un cantante che diventa un mito: è il transfert.
È supporgli quel sapere lì che fa la differenza.
Vasco ha indubbiamente il talento di suscitare transfert. Quante volte si legge di ragazzi che viaggiano chilometri per vederlo, si accampano davanti ai cancelli del concerto giorni prima pur di essere in prima fila? Il transfert è anche questo: fare muovere.
Muoversi verso qualcuno che sa qualcosa che noi non sappiamo, e non è il sapere professionale sulla musica, sugli strumenti musicali, non è questo: è il sapere sulla vita. Il saperci fare con lo schifo che tutti incontriamo nella vita: gli amici che tradiscono, le malattie, le storie d’amore che finiscono, le malelingue, i fallimenti…
Vasco non rimane mai in una posizione di vittima lamentosa, è una fenice che si rialza e sa cosa farne del poco che rimane dopo un’ennesima, terribile tempesta.
È per questo che ogni volta che fa un concerto troverete che non solo i fan ne parlano ma anche chi non va all’evento parlerà di lui, di quanto non capisce, di quanto non gli piace, di quanto si discosta da quella massa di ignoranti che si accalca davanti ai cancelli.
Questo è transfert. Perché il transfert non è solo positivo è anche negativo. Ogni analista e ogni analizzante ha esperienza di questo nel suo percorso sul divano. Ci sono dei giorni che il tuo curante lo detesti: lei non mi ascolta mai! Lei preferisce gli altri pazienti a me! Lei non è bravo nel suo lavoro, dei miei amici che vanno da un suo collega stanno molto meglio di me.
Il transfert muove e smuove.
In questi giorni, dopo Modena Park, è evidente tutto questo: i fan che non si riprendono dalle nostalgie del concerto e i detrattori che, con altrettanti entusiasmo, ci tengono a sottolineare che a loro Vasco proprio non piace e non capiscono come si possa seguirlo.
Succedono spesso cose simili anche tra gli psicoanalisti, nelle loro scuole, nei loro circoli e, credetemi, è sempre e solo tutta colpa del transfert.
Perché il transfert è potentissimo e delle volte incendia troppo gli animi quando non viene utilizzato come strumento in seduta di analisi.
Al transfert non si resiste, un po’ come dire “al cuor non si comanda”.
Se tu supponi a Vasco quel sapere non puoi supporlo a Bruce Springsteen solo perché è più bravo a suonare la chitarra.
Se trovi che Vasco possa avere la chiave per vivere non puoi andarla a cercare in De Andrè perché lui si che scriveva dei bei testi.
Non è con la tecnica, con l’impeccabilità, con la bravura che si genera transfert ma è proprio con la mancanza, col proprio dramma interiore, col proprio essere un niente.
È proprio così che fa Vasco: parte dal suo dolore e lo trasforma ma non lo nasconde, non lo cela, non si inventa di essere qualcuno che non è.
Usa l’ironia per indossare l’abito della rock star al quale, però, non si identifica mai rendendolo a volte un abito caricaturale a volte grottesco.
Questo è quello che tenta di fare l’analista all’interno della cura: non nasconde lo schifo, la pulsione di morte, il godimento, il dolore sotto il tappeto rilancia sempre, mostra continuamente che con tutto questo qualcosa si può fare.
Non fa bene il suo mestiere quando se ne esce con una interpretazione favolosa, quando rilancia con un enigma ben articolato, fa bene il suo mestiere quando tiene duro e usa il transfert per legare insieme pulsione di vita e pulsione di morte, Eros e Thanatos.
Non sono le performance in analisi a rendere l’analisi efficace ma è la capacità dell’analista di maneggiare il transfert di tenere il soggetto al lavoro sulle proprie questioni fondamentali a riempire la stanza di analisi di vita anche quando tutto sembra morto.
Ed è proprio per questo che su quel giro li, su quegli accordi li, vedrete sempre la gente abbracciarsi all’improvviso con gli sconosciuti che hanno accanto ed esplodere fino a sgolarsi: Vivere! Anche se sei morto dentro. Vivere! E devi essere sempre contento. Vivere! È come un comandamento. Vivere o sopravvivere. Senza perdersi d’animo mai e combattere e lottare contro tutto contro oggi non ho tempo oggi voglio stare spento.
Un articolo stupendo con un’analisi dell’evento e della figura di Vasco molto profonda, ma spiegata a chi non sa di analisi con maestria e semplicità, tali da permettere a chiunque di capire perché è andato a Modena Park e/o perché non è andato a Modena Park. Condotto o tenuto lontano per mano.
Brava Arianna Marfisa!!! Spero che al Vasco qualcuno lo faccia leggere e che il Vasco voglia incontrare chi ha analizzato così profondamente la sua personalità. Forse mai come prima.